tag:blogger.com,1999:blog-4320655109538061072024-03-13T04:35:05.658+01:00Appunti (e spunti)Il blog di Chiara Lico.
Racconti e riflessioni di cronaca e di attualitàChiara Licohttp://www.blogger.com/profile/05765929314785063157noreply@blogger.comBlogger106125tag:blogger.com,1999:blog-432065510953806107.post-59567033361411656252016-05-01T09:47:00.000+01:002016-05-01T09:50:31.598+01:00IL LAIPAD COME PAPA' SU BUDUAR.ITLa saga di Michelino Burghèss viene pubblicata a puntate sul mensile satirico <a href="http://www.buduar.it/" target="_blank">Buduàr.it</a> - l'Almanacco dell'arte leggera, accompagnata e arricchita dalle illustrazioni di <a href="http://www.humourcomix.com/" target="_blank">Milko Dalla Battista</a>. <br />
I primi due episodi sono già online, rispettivamente sul numero 34 e 35. Chiara Licohttp://www.blogger.com/profile/05765929314785063157noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-432065510953806107.post-23155996968772686162016-03-10T15:36:00.003+01:002016-05-01T09:50:18.739+01:00<div style="text-align: center;">
<b><span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;"><span style="font-size: medium;"><br /></span></span></b>
<br />
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<b><span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;"><span style="font-size: medium;"><br /></span></span></b><b><span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;"><span style="font-size: x-large;">IL LAIPAD COME PAPA'</span></span></b></h3>
<div>
<b><span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;"><span style="font-size: large;"><br /></span></span></b></div>
<b><span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;"><span style="font-size: medium;">ovvero </span></span></b><br />
<b><span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;"><span style="font-size: medium;"><br /></span></span></b>
<b><span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;"><span style="font-size: medium;">Michelino e </span></span></b><b style="font-family: 'trebuchet ms', sans-serif; font-size: large;">la famiglia borghese </b><b style="font-family: 'trebuchet ms', sans-serif; font-size: large;">ai tempi della crisi</b></div>
<br />
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<br /></div>
<div style="text-align: left;">
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;">Da oggi in cinque puntate la saga di Michelino Burghèss.</span></div>
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;">Michelino è un bambino terribile, pestifero e problematico.</span><br />
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif; font-size: small;">E’ piccolo ma parla come gli adulti perché ha ereditato, assorbendoli, tutti i loro vizi.<o:p></o:p></span><br />
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif; font-size: small;">Le sue avventure sono un ritratto in chiave grottesco-umoristica della famiglia borghese al tempo della crisi. <span style="mso-spacerun: yes;"> </span><o:p></o:p></span><br />
<span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif; font-size: small;">E' cominciato tutto con un solo racconto, il primo, che dà il titolo alla raccolta. </span><span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;">La voce di Michelino, però, continuava a dire la sua e così è arrivato anche il seguito. </span><span style="font-family: "trebuchet ms" , sans-serif;"> </span><br />
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<div class="MsoNormalCxSpMiddle" style="margin: 1em 0px 0pt; mso-add-space: auto;">
<a href="http://www.chiaralico.blogspot.it/2016/03/il-laipad-come-papa-11.html" target="_blank">IL LAIPAD COME PAPA’ 1/5<o:p></o:p></a></div>
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<div class="MsoNormalCxSpMiddle" style="margin: 1em 0px 0pt; mso-add-space: auto;">
<a href="http://www.chiaralico.blogspot.it/2016/03/extreme-outsourcing-25.html" target="_blank">EXTREME OUTSOURCING 2/5</a><o:p></o:p></div>
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<div class="MsoNormalCxSpMiddle" style="margin: 1em 0px 0pt; mso-add-space: auto;">
<a href="http://www.chiaralico.blogspot.it/2016/03/i-figli-dei-fichi-ma-soprattutto-delle_10.html" target="_blank">I FIGLI DEI FICHI (ma soprattutto delle fiche) 3/5<o:p></o:p></a></div>
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<div class="MsoNormalCxSpMiddle" style="margin: 1em 0px 0pt; mso-add-space: auto;">
<a href="http://www.chiaralico.blogspot.it/2016/03/super-politically-correct-45.html" target="_blank">SUPER POLITICALLY CORRECT 4/5</a><o:p></o:p></div>
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<div class="MsoNormalCxSpMiddle" style="margin: 1em 0px 0pt; mso-add-space: auto;">
<a href="http://www.chiaralico.blogspot.it/2016/03/burghess-inside-55.html" target="_blank">BURGHESS INSIDE 5/5</a></div>
Chiara Licohttp://www.blogger.com/profile/05765929314785063157noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-432065510953806107.post-19208305413454228522016-03-10T15:32:00.001+01:002016-03-10T15:53:35.003+01:00IL LAIPAD COME PAPA' - 1/1<div align="center" class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt; text-align: center;">
<span style="font-family: "garamond" , "serif"; font-size: 12pt; line-height: 18.4px;">IL LAIPAD COME PAPA’<o:p></o:p></span></div>
<br />
<div align="center" class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt; text-align: center;">
<span style="font-family: "garamond" , "serif"; font-size: 12pt; line-height: 18.4px;">di Chiara Lico<o:p></o:p></span></div>
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<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
</div>
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<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-family: "garamond" , "serif"; font-size: 12pt; line-height: 18.4px;">Voglio il Laipad.<o:p></o:p></span></div>
<span style="font-family: "garamond" , "serif"; font-size: 12pt; line-height: 18.4px;">Ho lasciato indizi ovunque per Babbo Natale: dentro alla scatola di biscotti a casa della zia, sotto al cuscino del letto d’ospedale della nonna, dentro al Bimby che mamma s’è fatta regalare per l’anniversario di nozze di quattro anni fa. “Adesso ti imposto come si deve”, aveva sussurrato con gli occhi fissi sul cestello sigillato e immacolato. “E vediamo se qua dentro almeno tu fai quello che ti dico”, aveva sospirato. Il Bimby non è più sigillato ma è ancora immacolato, la sua obbedienza non ha partorito neanche un ciambellone.</span><br />
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-family: "garamond" , "serif"; font-size: 12pt; line-height: 18.4px;">In effetti lo dovevo capire subito che il Bimby non era una buona idea per la caccia al tesoro. Non c’è neanche la ricetta di una torta in giro per casa nostra. In compenso abbiamo almeno un centinaio di coupon per massaggi viso e corpo calamitati sul frigorifero. E mamma li userà tutti, uno per uno.<o:p></o:p></span></div>
<span style="font-family: "garamond" , "serif"; font-size: 12pt; line-height: 18.4px;">È una certezza mamma mia, mica come quelle che ti dicono <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Faremo</i> e poi non mantengono.<o:p></o:p></span><br />
<span style="font-family: "garamond" , "serif"; font-size: 12pt; line-height: 18.4px;">Lei non promette e non mantiene e così, dice “Accresce la nostra autostima”.</span><br />
<a name='more'></a><br />
<span style="font-family: "garamond" , "serif"; font-size: 12pt; line-height: 18.4px;"><span style="mso-spacerun: yes;"> </span>“Figurati poi se Babbo Natale si mette a fare la caccia al tesoro”,<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>mi ha detto Genny. In effetti, abituato com’è ad avere tutta la pappa scodellata: te’, arance, biscotti e panettone. Da quelli come noi, poi, panettone “solo milanese”, dice sempre la mamma. Non lo so perché, ma pare che quelli come noi prendano la scossa se comprano il panettone del super. Ogni anno la stessa recita: il 24 mattina suonano alla porta ed è il corriere che ci porta il panettone: è basso e prima di mangiare lo mettiamo al forno. Al momento di tuffarcisi sopra sono tutti composti, poi si scatenano. Io li osservo uno per uno, poi al mio tre scatta la scommessa che vinco sempre: “Questo sì che è il vero panettone, altro che”. L’altro anno lo ha detto per prima la prozia Clotilde, l’anno prima si è aggiudicata il trionfo Guendi, che ha pure aggiunto: “Quelli commerciali per carità – ha scosso la mano schifata e poi ha ripetuto con ricarica di slancio – per carità”.<o:p></o:p></span><br />
<span style="font-family: "garamond" , "serif"; font-size: 12pt; line-height: 18.4px;">Comunque, tornando a me, io voglio il Laipad.<o:p></o:p></span><br />
<span style="font-family: "garamond" , "serif"; font-size: 12pt; line-height: 18.4px;">E ce la sto mettendo tutta per meritarlo. Anche la maestra lo ha detto: “Michelino va meglio, ma c’è ancora da lavorare”. Questo non mi è tanto piaciuto perché il fatto che io non abbia più tirato i capelli alle femmine e dato spintoni ai maschi non è roba da poco. Doveva essere più generosa, visto pure che siamo a Natale. Non ho neanche più portato a scuola lo spago per legarlo tra la gamba della sua sedia e la cattedra. Non sono cose da poco per quelli come me, anche considerato chi è mio padre che ha un onore da difendere. Certo, ha portato il gesso per un mese, ma mica è colpa mia se s’è fatta una frattura scomposta alla spalla. Se è vecchia, è vecchia.<o:p></o:p></span><br />
<span style="font-family: "garamond" , "serif"; font-size: 12pt; line-height: 18.4px;">Io voglio il Laipad come papà.<o:p></o:p></span><br />
<span style="font-family: "garamond" , "serif"; font-size: 12pt; line-height: 18.4px;">Perché voglio fare come lui ed essere come lui. Che la sera si siede sul divano e prima cosa prende il Laipad in mano. Con il dito scorre sullo schermo e secondo me entra dentro mondi fantastici. Se no non si spiega. Non parla con nessuno, non rivolge la parola alla mamma, non ci chiede niente a me e a Sofi.<o:p></o:p></span><br />
<span style="font-family: "garamond" , "serif"; font-size: 12pt; line-height: 18.4px;">Dove lo porta questo Laipad. Devo saperlo e per questo lo voglio.<o:p></o:p></span><br />
<span style="font-family: "garamond" , "serif"; font-size: 12pt; line-height: 18.4px;">L’altro giorno sono venuti pure certi amici suoi a casa nostra. Io non li avevo mai visti, però non è che erano tanto simpatici.<o:p></o:p></span><br />
<span style="font-family: "garamond" , "serif"; font-size: 12pt; line-height: 18.4px;">“Signorino buonasera”, mi hanno detto appena sono entrati. Ma non mi hanno neanche chiesto come mi chiamavo. Parlavano a bassa voce e avevano un sacco di cellulari a testa. Anche papà ne ha quattro, certo. Uno per lavoro, uno per l’azienda, uno per il tempo libero e uno per il privato.<o:p></o:p></span><br />
<span style="font-family: "garamond" , "serif"; font-size: 12pt; line-height: 18.4px;">“Ma che cos’è il privato?” gli ho chiesto un giorno.<o:p></o:p></span><br />
<span style="font-family: "garamond" , "serif"; font-size: 12pt; line-height: 18.4px;">Risposta, “Adesso è presto, vai a giocare”.<o:p></o:p></span><br />
<span style="font-family: "garamond" , "serif"; font-size: 12pt; line-height: 18.4px;">Certe volte papà risponde una cosa per un’altra ma io lo capisco: con tutto il lavoro mia ha tempo di stare lì a ridere e scherzare. “D’altra parte se abbiamo la Jaguar un motivo ci sarà”, ha detto mamma.<o:p></o:p></span><br />
<span style="font-family: "garamond" , "serif"; font-size: 12pt; line-height: 18.4px;">Ma che c’entra, voi lo capite?<o:p></o:p></span><br />
<span style="font-family: "garamond" , "serif"; font-size: 12pt; line-height: 18.4px;">Io voglio il Laipad perché quando vado in vacanza voglio fare come papà: che sdraia sotto all’ombrellone e non si accorge di quello che gli capita attorno. E quello è relax, dice.<o:p></o:p></span><br />
<span style="font-family: "garamond" , "serif"; font-size: 12pt; line-height: 18.4px;">Tutti pensano che non sia bello per niente come modo di fare, invece io ho capito che lui sta un pezzo avanti. Perché con il Laipad in mano entra in questi mondi magici e può distrarsi. Come quando viene alle mie partite di rugby. E’ vero che non vede niente, neanche uno scambio, sempre la testa sul Laipad ma io lo so perché: perché è troppo teso.<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Mica è facile vedere il proprio figlio che gioca e che magari rischia anche di prenderle. E poi a dirla tutta anche quei genitori che stanno lì, attaccati alla rete, che urlano.<o:p></o:p></span><br />
<span style="font-family: "garamond" , "serif"; font-size: 12pt; line-height: 18.4px;">No, meglio papà. Che chi lo vede dice che se ne frega altamente ma forse sotto sotto sta teso come una corda di violino.<o:p></o:p></span><br />
<span style="font-family: "garamond" , "serif"; font-size: 12pt; line-height: 18.4px;">Anche perché di cose brutte ne succedono eccome.<o:p></o:p></span><br />
<span style="font-family: "garamond" , "serif"; font-size: 12pt; line-height: 18.4px;">Ieri per esempio a scuola parlottavano tutti e mi guardavano.<o:p></o:p></span><br />
<span style="font-family: "garamond" , "serif"; font-size: 12pt; line-height: 18.4px;">“Il padre, il padre”, si sentiva.<o:p></o:p></span><br />
<span style="font-family: "garamond" , "serif"; font-size: 12pt; line-height: 18.4px;">Solo Genny mi è venuto vicino: “L’hai visto il telegiornale?”<o:p></o:p></span><br />
<span style="font-family: "garamond" , "serif"; font-size: 12pt; line-height: 18.4px;">Noi a casa nostra non lo vediamo<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>perché appena comincia e parte la sigla lui ci dice: “Spegnete la tv, solo chiacchiere”.<o:p></o:p></span><br />
<span style="font-family: "garamond" , "serif"; font-size: 12pt; line-height: 18.4px;">“Hanno parlato di tuo padre”.<o:p></o:p></span><br />
<span style="font-family: "garamond" , "serif"; font-size: 12pt; line-height: 18.4px;">Io voglio il Laipad a tutti i costi e non quello che si vede nella pubblicità dei regali di Natale, che è un Laipad per bambini.<o:p></o:p></span><br />
<span style="font-family: "garamond" , "serif"; font-size: 12pt; line-height: 18.4px;">Io voglio il Laipad vero perché voglio essere come papà.<o:p></o:p></span><br />
<span style="font-family: "garamond" , "serif"; font-size: 12pt; line-height: 18.4px;">Che è elegante quando ci va in giro, lo tiene in mano lungo la gamba destra, mentre con la sinistra ogni tanto si tocca il cuore. Sembra, invece si tocca il cellulare numero due che sta nel taschino interno della giacca. Il tre ce lo ha nella tasca destra dei pantaloni, l’uno in quella posteriore e il quattro incastrato nella fodera del Laipad, che gliel’ha regalata mamma: “Seicento euro, ti piace? E’ di pelle”.<o:p></o:p></span><br />
<span style="font-family: "garamond" , "serif"; font-size: 12pt; line-height: 18.4px;">“Bella”, aveva risposto papà. E mamma aveva sorriso perché pensava che dicesse a lei. Invece io lo avevo capito subito che pensava alla fodera.<o:p></o:p></span><br />
<span style="font-family: "garamond" , "serif"; font-size: 12pt; line-height: 18.4px;">Dico Laipad perché è una delle prime parole che ho ascoltato e l’ho imparata male. Ma adesso mi ci sono affezionato e non la mollo più.<o:p></o:p></span><br />
<span style="font-family: "garamond" , "serif"; font-size: 12pt; line-height: 18.4px;">Quella che mi segue perché sono dislessico dice che non è grave e ripete<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>“Il bambino va solo seguito un po’ di più”.<o:p></o:p></span><br />
<span style="font-family: "garamond" , "serif"; font-size: 12pt; line-height: 18.4px;">Babbo Natale, vedi di portarmi il Laipad perché se no ti strozzo le renne e gli lego le gambe.<o:p></o:p></span><br />
<span style="font-family: "garamond" , "serif"; font-size: 12pt; line-height: 18.4px;">Portami il Laipad, lo voglio. Perché così posso parlare con mio padre, ho imparato a mandare le mail.</span>Chiara Licohttp://www.blogger.com/profile/05765929314785063157noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-432065510953806107.post-21768994260306919822016-03-10T15:31:00.004+01:002016-03-10T15:56:15.245+01:00EXTREME OUTSOURCING - 2/5<div align="center" class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt 5.65pt;">
<span style="font-family: "garamond" , "serif"; font-size: 12pt;">EXTREME OUTSOURCING<o:p></o:p></span></div>
<div style="text-align: center;">
<br /></div>
<div align="center" class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt 5.65pt;">
<span style="font-family: "garamond" , "serif"; font-size: 12pt;">di Chiara Lico<o:p></o:p></span></div>
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<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt 5.65pt; text-align: justify;">
</div>
<div style="text-align: center;">
<div style="text-align: left;">
<span style="font-family: "garamond" , "serif"; font-size: 12pt;">Eilà, sono ancora io, Michelino.<o:p></o:p></span></div>
</div>
<div style="text-align: center;">
<div style="text-align: left;">
<span style="font-family: "garamond" , "serif"; font-size: 12pt;">Alla fine il Laipad non l’ho avuto perché tutti gli indizi sono andati a finire nell’aspirapolvere gestita in autonomia quasi didattica dalla nostra filippa. Ragione per cui ci ho pensato io, a sistemarla. Ma questo dopo. Filippa che non solo s’è beccata la camera che era di nonna, per cui adesso vive e vegeta con noi. Ma che tra un po’ se non stiamo attenti ci chiude fuori casa perché dentro a questi ottocento metri quadri di mura ci sta più lei che noi.<o:p></o:p></span></div>
</div>
<div style="text-align: center;">
<div style="text-align: left;">
<span style="font-family: "garamond" , "serif"; font-size: 12pt;">Visto che lava lei, fa la spesa lei, cucina lei.<o:p></o:p></span></div>
</div>
<div style="text-align: center;">
<div style="text-align: left;">
<span style="font-family: "garamond" , "serif"; font-size: 12pt;">La filippa ovviamente non si chiama Filippa. E neanche il filippo suo marito si chiama Filippo. Vallo a capire come si pronunciano i geroglifici loro, fatto sta che da noi rispondono ai nomi di Assunta e Libero. “Perché siamo democratici”, dicono i miei, “Tutti hanno diritto al lavoro e all’indipendenza. Per cui da noi una è Assunta e l’altro è Libero”.<span style="mso-spacerun: yes;"> </span><o:p></o:p></span></div>
</div>
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<div style="text-align: left;">
<span style="font-family: "garamond" , "serif"; font-size: 12pt;">Genny mi ha guardato strano.<o:p></o:p></span></div>
</div>
<div style="text-align: center;">
<div style="text-align: left;">
<span style="font-family: "garamond" , "serif"; font-size: 12pt;">“Siete fichi voi rivoluzionari a parole”, mi ha detto.</span><br />
<a name='more'></a><span style="font-family: "garamond" , "serif"; font-size: 12pt;"><o:p></o:p></span></div>
</div>
<div style="text-align: center;">
<div style="text-align: left;">
<span style="font-family: "garamond" , "serif"; font-size: 12pt;">“Che vuol dire?”<o:p></o:p></span></div>
</div>
<div style="text-align: center;">
<div style="text-align: left;">
<span style="font-family: "garamond" , "serif"; font-size: 12pt;">“Non lo so”, mi ha risposto, “Lo dicono i miei”.<o:p></o:p></span></div>
</div>
<div style="text-align: center;">
<div style="text-align: left;">
<span style="font-family: "garamond" , "serif"; font-size: 12pt;">Forse sarà un insulto borghese, ho pensato, di quelle che non si capiscono al volo. E come niente ho preso e gli ho dato un pugno sul naso. Sangue, poco. Ma è bastato.<o:p></o:p></span></div>
</div>
<div style="text-align: center;">
<div style="text-align: left;">
<span style="font-family: "garamond" , "serif"; font-size: 12pt;">La prossima volta glielo rompo. E se lo dico, lo faccio.<o:p></o:p></span></div>
</div>
<div style="text-align: center;">
<div style="text-align: left;">
<span style="font-family: "garamond" , "serif"; font-size: 12pt;">Gli insulti borghesi, ad esempio, sono quelli che dispensa mia madre. Che pare ti fa un complimento e invece ci va giù dura come un’accetta. La sua è una tattica collaudata. “Mia nonna era già borghese quando gli aristocratici ancora mangiavano nei piatti d’oro”, ricorda a tutti ogni tanto dall'alto dei suoi zigomi, e fa l’occhiolino.<o:p></o:p></span></div>
</div>
<div style="text-align: center;">
<div style="text-align: left;">
<span style="font-family: "garamond" , "serif"; font-size: 12pt;">Comunque, tornando a noi: quando qualcuno fa qualcosa che non quadra o non le piace si capisce subito perché lei si attacca con il mantra del Tesoro. Gli stai simpatico ma manco troppo? Tesoro…. Gli stai antipatico? Tesoro, veramente…. Non ti può vedere? Tesoro, scusa, no…ascolta…. Ti odia al massimo? Tesoro, cara.<o:p></o:p></span></div>
</div>
<div style="text-align: center;">
<div style="text-align: left;">
<span style="font-family: "garamond" , "serif"; font-size: 12pt;">I torinesi a mia madre gli fanno un baffo.<o:p></o:p></span></div>
</div>
<div style="text-align: center;">
<div style="text-align: left;">
<i style="mso-bidi-font-style: normal;"><span style="font-family: "garamond" , "serif"; font-size: 12pt;">Tesoro</span></i><span style="font-family: "garamond" , "serif"; font-size: 12pt;">, insomma, è la vasellina. Perché il bello sta sempre per arrivare e perché tra loro i borghesi come lei si vogliono tutti bene. Mica come gli altri che si odiano e si dicono Vaffanculo anche alle spalle. No. A casa mia si fa così: “E’ un vero tesoro, io le voglio bene, ci conosciamo da una vita, però<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>- tra noi ce lo possiamo dire – sarebbe proprio da mandare affanculo”.<o:p></o:p></span></div>
</div>
<div style="text-align: center;">
<div style="text-align: left;">
<span style="font-family: "garamond" , "serif"; font-size: 12pt;">Un modo di fare che non capisci mai se ce l’ha mandata oppure no.<o:p></o:p></span></div>
</div>
<div style="text-align: center;">
<div style="text-align: left;">
<span style="font-family: "garamond" , "serif"; font-size: 12pt;">E siccome la forma è sostanza, il risultato lascia il passo all’intenzione. E non è la stessa cosa, checché se ne dica. Ma in tempi di crisi, si sa, esce fuori l’anima. Nasconderla non è possibile, camuffarla si può. Ma il buon intenditore affanculo ci va.<o:p></o:p></span></div>
</div>
<div style="text-align: center;">
<div style="text-align: left;">
<span style="font-family: "garamond" , "serif"; font-size: 12pt;">“Extreme outsourcing, tesoro”. Questa è stata la risposta sorridente della mia mamma borghese a una mamma normale che le aveva chiesto come faceva a fidarsi di tutta questa gente che le girava per casa, compreso il filippo che ci portava a scuola.<o:p></o:p></span></div>
</div>
<div style="text-align: center;">
<div style="text-align: left;">
<span style="font-family: "garamond" , "serif"; font-size: 12pt;">“Extreme outsourcing, tesoro”, è stata la risposta. Che tradotta significa Se non sai delegare peggio per te. Vito che tutti possono permettersi “driver” e consorte.<o:p></o:p></span></div>
</div>
<div style="text-align: center;">
<div style="text-align: left;">
<span style="font-family: "garamond" , "serif"; font-size: 12pt;"><span style="mso-spacerun: yes;"></span>Sofi sta già diventando una tipa così.<o:p></o:p></span></div>
</div>
<div style="text-align: center;">
<div style="text-align: left;">
<span style="font-family: "garamond" , "serif"; font-size: 12pt;">Meno male che è mia sorella, così ci litigo il prima possibile e da grande non avrò il problema che hanno tutti in famiglia: da chi andremo il 24 e da chi il 25.<o:p></o:p></span></div>
</div>
<div style="text-align: center;">
<div style="text-align: left;">
<span style="font-family: "garamond" , "serif"; font-size: 12pt;">(Poi vi dico come ho castigato la filippa, non vi preoccupate, non me ne dimentico).<o:p></o:p></span></div>
</div>
<div style="text-align: center;">
<div style="text-align: left;">
<span style="font-family: "garamond" , "serif"; font-size: 12pt;">Comunque ieri la maestra ne ha fatta una, al che mio padre anche se non gli andava perché stava giocando a un gioco sul Laipad ha dovuto chiamare uno dei suoi amici. Per non interrompersi<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>ha parlato con il vivavoce.<o:p></o:p></span></div>
</div>
<div style="text-align: center;">
<div style="text-align: left;">
<span style="font-family: "garamond" , "serif"; font-size: 12pt;">“Ruote”, ha detto.<o:p></o:p></span></div>
</div>
<div style="text-align: center;">
<div style="text-align: left;">
<span style="font-family: "garamond" , "serif"; font-size: 12pt;">“Tutte e quattro?” gli ha chiesto quello.<o:p></o:p></span></div>
</div>
<div style="text-align: center;">
<div style="text-align: left;">
<span style="font-family: "garamond" , "serif"; font-size: 12pt;">“Anche quella di scorta”<o:p></o:p></span></div>
</div>
<div style="text-align: center;">
<div style="text-align: left;">
<span style="font-family: "garamond" , "serif"; font-size: 12pt;">“Sarà fatto” <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>.<o:p></o:p></span></div>
</div>
<div style="text-align: center;">
<div style="text-align: left;">
<span style="font-family: "garamond" , "serif"; font-size: 12pt;">Devo dire che quando dalla finestra del bagno l’ho vista che girava intorno al suo scassino rosso bordeaux un po’ m’è dispiaciuto. Ma d’altra parte papà non poteva lasciar correre: io fuori dalla classe per tre ore e l’ultima in prima elementare, insieme ai più piccoli.<o:p></o:p></span></div>
</div>
<div style="text-align: center;">
<div style="text-align: left;">
<span style="font-family: "garamond" , "serif"; font-size: 12pt;">“Punizione, si chiama”, guardavo la Preside, mio padre al telefono.<span style="mso-spacerun: yes;"> </span><o:p></o:p></span></div>
</div>
<div style="text-align: center;">
<div style="text-align: left;">
<span style="font-family: "garamond" , "serif"; font-size: 12pt;">“Non scherziamo” , sentivo la voce di papà: era calmo.<o:p></o:p></span></div>
</div>
<div style="text-align: center;">
<div style="text-align: left;">
<span style="font-family: "garamond" , "serif"; font-size: 12pt;">“No, infatti”, gli ha detto la preside. Ping<o:p></o:p></span></div>
</div>
<div style="text-align: center;">
<div style="text-align: left;">
<span style="font-family: "garamond" , "serif"; font-size: 12pt;">“Facciamo che scherziamo”, pong. il tono di mio padre si sentiva che non è che era proprio bello.<o:p></o:p></span></div>
</div>
<div style="text-align: center;">
<div style="text-align: left;">
<span style="font-family: "garamond" , "serif"; font-size: 12pt;">Che poi a pensarci bene, che cosa avevo fatto? Una penna bic come cerbottana. Sì. E il cartoccetto era finito in fronte alla maestra, sì.<o:p></o:p></span></div>
</div>
<div style="text-align: center;">
<div style="text-align: left;">
<span style="font-family: "garamond" , "serif"; font-size: 12pt;">“Arma impropria”, gli ha detto la preside a mio padre.<o:p></o:p></span></div>
</div>
<div style="text-align: center;">
<div style="text-align: left;">
<span style="font-family: "garamond" , "serif"; font-size: 12pt;">“Ma lei la vuole vedere davvero com’è fatta un’arma, Preside?”.<o:p></o:p></span></div>
</div>
<div style="text-align: center;">
<div style="text-align: left;">
<span style="font-family: "garamond" , "serif"; font-size: 12pt;">E il discorso era finito là.<o:p></o:p></span></div>
</div>
<div style="text-align: center;">
<div style="text-align: left;">
<span style="font-family: "garamond" , "serif"; font-size: 12pt;">Da allora sono servito e riverito.<o:p></o:p></span></div>
</div>
<div style="text-align: center;">
<div style="text-align: left;">
<span style="font-family: "garamond" , "serif"; font-size: 12pt;">A mensa mi danno il bis e pure il tris, se voglio. E a ricreazione tiro su le gonne delle femmine e nessuno mi dice niente.<o:p></o:p></span></div>
</div>
<div style="text-align: center;">
<div style="text-align: left;">
<span style="font-family: "garamond" , "serif"; font-size: 12pt;">“La prossima volta mando quattro albanesi”, ha detto mio padre a mamma, “Ma glieli mando a casa”.<span style="mso-spacerun: yes;"> </span><o:p></o:p></span></div>
</div>
<div style="text-align: center;">
<div style="text-align: left;">
<span style="font-family: "garamond" , "serif"; font-size: 12pt;">Comunque alla fine mio padre, per dire com’è, l’ha fatta accompagnare dal filippo, la maestra che aveva cantato a sproposito.<o:p></o:p></span></div>
</div>
<div style="text-align: center;">
<div style="text-align: left;">
<span style="font-family: "garamond" , "serif"; font-size: 12pt;">Alla fine se vai a ben guardare non sono cose da tutti. Noi Burghess siamo così. Sì, Burghess è il mio cognome.<o:p></o:p></span></div>
</div>
<div style="text-align: center;">
<div style="text-align: left;">
<span style="font-family: "garamond" , "serif"; font-size: 12pt;">“Siamo così”, ripete, “Anche in tempi di crisi”. E quando mia madre sente questo,<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>l’occhio truccato al naturale le lacrima che è una meraviglia. Ma si gira di scatto. Non per timidezza, ma perché se poco poco la goccia di emozione le cade sul Laipad è la fine del mondo. <span style="mso-spacerun: yes;"> </span><o:p></o:p></span></div>
</div>
<div style="text-align: center;">
<div style="text-align: left;">
<span style="font-family: "garamond" , "serif"; font-size: 12pt;">Insomma, non mi sono dimenticato. È o no per colpa della filippa che io non ho avuto il Laipad per Natale? Sì. E allora io ci ho riflettuto un po’ su e poi ho avuto lo stesso pensiero che hanno tutti i figli: che cosa avrebbe fatto mio padre al<u> </u>mio posto. Quando mia madre le ha visto la caviglia rotta s’è disperata. “Posso scendere qua sotto, mami?” “Certo, Michelino”, mi ha risposto singhiozzando. Stavano tutti e tre ad aspettarmi: “Cinque euro per uno”, ho detto guardandoli in faccia. Ho preso i soldi, mi sono girato, ho pensato alla filippa: “Extreme outsourcing, tesoro”.</span></div>
</div>
Chiara Licohttp://www.blogger.com/profile/05765929314785063157noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-432065510953806107.post-91980058178976724452016-03-10T15:31:00.002+01:002016-03-10T16:02:54.023+01:00I FIGLI DEI FICHI (ma soprattutto delle fiche) - 3/5<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt 5.65pt; text-align: center;">
<span style="font-family: "garamond" , "serif"; font-size: 12pt;">I FIGLI DEI FICHI (MA SOPRATTUTTO DELLE FICHE)<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt 5.65pt; text-align: justify;">
</div>
<div style="text-align: center;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt 5.65pt; text-align: center;">
<div style="text-align: left;">
<div style="text-align: center;">
<span style="font-family: "garamond" , "serif"; font-size: 12pt;">di Chiara Lico<o:p></o:p></span></div>
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<div style="text-align: center;">
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<br /></div>
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<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt 5.65pt; text-align: justify;">
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<br /></div>
</div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt 5.65pt; text-align: justify;">
<div style="text-align: left;">
<span style="font-family: "garamond" , "serif"; font-size: 12pt;">Sempre io, Michelino Burghèss. Burghèss è con l’accento sulla è. Burghèss.</span></div>
</div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt 5.65pt; text-align: justify;">
<div style="text-align: left;">
<span style="font-family: "garamond" , "serif"; font-size: 12pt;">Sentite quello che mio cugino Berni mi ha raccontato ieri: che la sua maestra è entrata in classe in ritardo perché la sua due ruote non passava tra il Suv del padre di Jacopo e la mini della madre di Nicole. Al che è partita la centesima mail dalla direzione indirizzata a tutti i genitori della classe per ricordare che non si parcheggia nei posti riservati ai disabili.</span></div>
</div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt 5.65pt; text-align: justify;">
<div style="text-align: left;">
<span style="font-family: "garamond" , "serif"; font-size: 12pt;">“Ma se già sapevano chi era stato….”</span></div>
</div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt 5.65pt; text-align: justify;">
<div style="text-align: left;">
<span style="font-family: "garamond" , "serif"; font-size: 12pt;">“Che c’entra”, ha detto Berni, “E comunque almeno la parte la devono fare. Mica se la possono prendere con il vero colpevole: quella è gente che paga, non va indispettita”.<o:p></o:p></span></div>
</div>
<div style="text-align: center;">
<div style="text-align: left;">
<span style="font-family: "garamond" , "serif"; font-size: 12pt;">Giusto. Mi sa che l’ecumenismo è questo, alla fine. Ma non lo dico. Lo penso e basta: sono dislessico, io.<o:p></o:p></span></div>
</div>
<div style="text-align: center;">
<div style="text-align: left;">
<span style="font-family: "garamond" , "serif"; font-size: 12pt;">La scuola di Berni è una scuola di fichetti, i figli dei fichi. “Soprattutto le fiche, volevo dire le madri sono uno spettacolo pazzesco”, ha detto un giorno zio Dodo a papà. Al che mi sono messo a origliare come pochi al mondo.<o:p></o:p></span></div>
</div>
<div style="text-align: center;">
<div style="text-align: left;">
<span style="font-family: "garamond" , "serif"; font-size: 12pt;">“Tutte gnocche che pare che c’hanno vent’anni”.<o:p></o:p></span></div>
</div>
<div style="text-align: center;">
<div style="text-align: left;">
<span style="font-family: "garamond" , "serif"; font-size: 12pt;">Mio padre ha alzato la testa dal Laipad.<o:p></o:p></span></div>
</div>
<div style="text-align: center;">
<div style="text-align: left;">
<span style="font-family: "garamond" , "serif"; font-size: 12pt;">“Gnocche che vengono a scuola con la pelliccia, ma sotto hanno la tuta”. Zio Dodo era tutto contento. “Due labbra così, due tette così, i capelli sempre a posto. Firmate, palestrate, unghiate”.<o:p></o:p></span></div>
</div>
<div style="text-align: center;">
<div style="text-align: left;">
<span style="font-family: "garamond" , "serif"; font-size: 12pt;">Mio padre lo ha fissato e ha scosso la testa, “Ancora così stai?” , e giù sul Laipad.<o:p></o:p></span></div>
</div>
<div style="text-align: center;">
<div style="text-align: left;">
<span style="font-family: "garamond" , "serif"; font-size: 12pt;">Grande pa’.<o:p></o:p></span></div>
</div>
<div style="text-align: center;">
<div style="text-align: left;">
<span style="font-family: "garamond" , "serif"; font-size: 12pt;">Lo capite perché mi piace da morire, papà? Perché lui è uno di quelli che “Io no alla scuola privata, dove se paghi ottieni tutto”. Noi siamo democratici, ve l’ho detto. Tant’è che andiamo nella scuola del quartiere. Certo entrarci non era facile, ce la siamo sudata la gavetta: la filippa ha preparato almeno dieci, dodici cene e alla fine un dirigente che conta oggi, un prete domani, io e Sofi siamo entrati nella scuola pubblica statale dei figli dei politici, dirigenti, imprenditori, vip e calciatori.</span><br />
<a name='more'></a><span style="font-family: "garamond" , "serif"; font-size: 12pt;"><o:p></o:p></span></div>
</div>
<div style="text-align: center;">
<div style="text-align: left;">
<span style="font-family: "garamond" , "serif"; font-size: 12pt;">“Non una scuola qualsiasi, bimbi”, disse la mamma il primo giorno di scuola sia a me che a Sofi: “L’ambiente conta, quindi tranquilli che anche voi conterete”.<o:p></o:p></span></div>
</div>
<div style="text-align: center;">
<div style="text-align: left;">
<span style="font-family: "garamond" , "serif"; font-size: 12pt;">Frasi così che tu rimani zitto per non fare la figura di quello che non capisce mai, anche perché sei dislessico, no?<o:p></o:p></span></div>
</div>
<div style="text-align: center;">
<div style="text-align: left;">
<span style="font-family: "garamond" , "serif"; font-size: 12pt;">A scuola di Berni i genitori vanno tutti eleganti. “Durante la messa si guardano tra loro come sono vestiti”, mi ha raccontato. Da noi invece i genitori accompagnano i figli in felpa e jeans. Gente semplice, dice papà. Ai piedi le All Star.<o:p></o:p></span></div>
</div>
<div style="text-align: center;">
<div style="text-align: left;">
<span style="font-family: "garamond" , "serif"; font-size: 12pt;">“I figli dei fiori coi soldi, dicono i miei”. Indovinate chi è? Esatto, Genny.<o:p></o:p></span></div>
</div>
<div style="text-align: center;">
<div style="text-align: left;">
<span style="font-family: "garamond" , "serif"; font-size: 12pt;">M’è sembrato un insulto borghese e alla fine anche questa volta non gliel’ho potuta far passare liscia. Ho dovuto dargli un mappino. Bello pieno, ha avuto le cinque dita stampate in faccia per un bel po’.<o:p></o:p></span></div>
</div>
<div style="text-align: center;">
<div style="text-align: left;">
<span style="font-family: "garamond" , "serif"; font-size: 12pt;">Comunque qualcosa che non quadra c’è, devo essere onesto. Perché non è possibile che tutti gli amici dei miei genitori stappano e bevono bottiglie di vino che costano tre-quattro cento euro, (l’ho sentito che lo dicevano, una sera) e ce ne fosse uno con i pantaloni senza strappi e con i gomiti dei maglioni senza buchi e toppe.<span style="mso-spacerun: yes;"> </span><o:p></o:p></span></div>
</div>
<div style="text-align: center;">
<div style="text-align: left;">
<span style="font-family: "garamond" , "serif"; font-size: 12pt;">“Quelli che fanno la rivoluzione con la smart fuori dalla brasserie, ridacchiano i miei”. Sì, sempre Genny. Occhio nero.<o:p></o:p></span></div>
</div>
<div style="text-align: center;">
<div style="text-align: left;">
<span style="font-family: "garamond" , "serif"; font-size: 12pt;">“Mi sa che devi cambiare amico”, mi ha detto Sofi, “Se no ti sbattono nel carcere minorile in terza elementare”.<o:p></o:p></span></div>
</div>
<div style="text-align: center;">
<div style="text-align: left;">
<span style="font-family: "garamond" , "serif"; font-size: 12pt;">Zitta, ho pensato, Violetta de noantri.<o:p></o:p></span></div>
</div>
<div style="text-align: center;">
<div style="text-align: left;">
<span style="font-family: "garamond" , "serif"; font-size: 12pt;">Mio padre si fa le sigarette con il tabacco, dice a tutti che l’ha imparato in campeggio. La verità è che gli fanno schifo quelli che fumano il sigaro, li chiama <i style="mso-bidi-font-style: normal;">gli assetati di ville con finale di settimana in salsa barbecue</i>. Questo non lo so che significa anche perché barbecue non dico perché sono dislessico, ve l’ho detto.<o:p></o:p></span></div>
</div>
<div style="text-align: center;">
<div style="text-align: left;">
<span style="font-family: "garamond" , "serif"; font-size: 12pt;">Ieri mio padre s’è alzato dal divano ed è andato vicino alla porta di casa. Ha lasciato il Laipad tra due cuscini. Questa è la volta buona che esce e si va a fare una passeggiata, ho pensato.<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>È un sacco che non mette il naso fuori di casa. Sul balcone, vabbè. Ma che è un’uscita?<o:p></o:p></span></div>
</div>
<div style="text-align: center;">
<div style="text-align: left;">
<span style="font-family: "garamond" , "serif"; font-size: 12pt;">Sì, avete indovinato: ho preso il Laipad.<o:p></o:p></span></div>
</div>
<div style="text-align: center;">
<div style="text-align: left;">
<span style="font-family: "garamond" , "serif"; font-size: 12pt;">Mi tremavano le mani.<o:p></o:p></span></div>
</div>
<div style="text-align: center;">
<div style="text-align: left;">
<span style="font-family: "garamond" , "serif"; font-size: 12pt;">Apro la custodia.<o:p></o:p></span></div>
</div>
<div style="text-align: center;">
<div style="text-align: left;">
<span style="font-family: "garamond" , "serif"; font-size: 12pt;">Chissà che cosa mi credevo, m’ero immaginato mondi fantastici e surreali. Tipo che dentro c’erano maghi, orchi, streghe e fate bellissime. Il mondo dei sogni e del futuro. Che io ci entravo e poi ci rimanevo intrappolato dentro, come Bastiano Baldassarre Bucci della Storia Infinita, che quando a scuola l’ho preso in biblioteca non volevo più riportarglielo per quanto mi era piaciuto. Beato lui, Bastiano.<o:p></o:p></span></div>
</div>
<div style="text-align: center;">
<div style="text-align: left;">
<span style="font-family: "garamond" , "serif"; font-size: 12pt;">Invece macché. Tutto un grafico con cifre e nomi che da qualche parte avevo già sentito, con le scritte dare e avere, codici, simboli..<o:p></o:p></span></div>
</div>
<div style="text-align: center;">
<div style="text-align: left;">
<span style="font-family: "garamond" , "serif"; font-size: 12pt;">Sento la porta che si apre e si chiude e dopo qualche secondo riappare mio padre.<o:p></o:p></span></div>
</div>
<div style="text-align: center;">
<div style="text-align: left;">
<span style="font-family: "garamond" , "serif"; font-size: 12pt;">“Che stai facendo?”, mi chiede guardando il Laipad.<o:p></o:p></span></div>
</div>
<div style="text-align: center;">
<div style="text-align: left;">
<span style="font-family: "garamond" , "serif"; font-size: 12pt;">“Niente”.<o:p></o:p></span></div>
</div>
<div style="text-align: center;">
<div style="text-align: left;">
<span style="font-family: "garamond" , "serif"; font-size: 12pt;">“E’ la prima e l’ultima volta”.<o:p></o:p></span></div>
</div>
<div style="text-align: center;">
<div style="text-align: left;">
<span style="font-family: "garamond" , "serif"; font-size: 12pt;">Faccio segno di sì.<o:p></o:p></span></div>
</div>
<div style="text-align: center;">
<div style="text-align: left;">
<span style="font-family: "garamond" , "serif"; font-size: 12pt;">Io me ne vado in camera mia e lui si risiede sul divano.<o:p></o:p></span></div>
</div>
<div style="text-align: center;">
<div style="text-align: left;">
<span style="font-family: "garamond" , "serif"; font-size: 12pt;">Io volevo il mio, di Laipad. Se ce l’avevo, adesso non lo toccavo questo. Tutta colpa della filippa che m’ha cestinato gli indizi per quel vecchio di Babbo Natale. Appena posso un po’ di sale nel caffè non glielo toglie nessuno.<o:p></o:p></span></div>
</div>
<div style="text-align: center;">
<div style="text-align: left;">
<span style="font-family: "garamond" , "serif"; font-size: 12pt;">Ma perché sta sempre dentro casa, non lo capisco proprio. Però almeno oggi abbiamo parlato, mica è poco. Apro la finestra della mia camera e senza farmi vedere allungo il braccio. Capovolgo il bicchiere di plastica. Rovescio tutta la pipì che ci ho fatto dentro, anche oggi. Giuro che prima o poi ci riuscirò a prendere quei due poliziotti che stanno fermi impalati fuori dal portone di casa mia notte e giorno. Mica perché m’hanno fatto niente, no. È solo che uno in qualche modo deve sfogarsi. Comunque, completamente a buca non sono andato: rientrava quella di sopra con il barboncino. Speriamo che gli aveva appena fatto la toletta se no non c’è gusto.<span style="mso-spacerun: yes;"> </span></span></div>
</div>
Chiara Licohttp://www.blogger.com/profile/05765929314785063157noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-432065510953806107.post-88200978710486935392016-03-10T15:30:00.005+01:002016-03-10T15:58:07.531+01:00SUPER POLITICALLY CORRECT - 4/5<div style="margin: 0cm 0cm 0.0001pt; text-align: center;">
<div style="text-align: left;">
<div style="text-align: center;">
SUPER POLITICALLY CORRECT<span style="font-size: 13.5pt;"><o:p></o:p></span></div>
</div>
</div>
<div style="text-align: center;">
<o:p></o:p></div>
<div style="margin: 0cm 0cm 0.0001pt; text-align: center;">
<div style="text-align: left;">
<br /></div>
</div>
<div style="margin: 0cm 0cm 0.0001pt; text-align: center;">
<div style="text-align: left;">
<div style="text-align: center;">
di Chiara Lico<span style="font-size: 13.5pt;"><o:p></o:p></span></div>
</div>
</div>
<div style="text-align: center;">
<o:p></o:p></div>
<div style="margin: 0cm 0cm 0.0001pt; text-align: center;">
<div style="text-align: left;">
<br />
<br /></div>
</div>
<div style="margin: 0cm 0cm 0.0001pt; text-align: center;">
<div style="text-align: left;">
Eccomi di nuovo qua. Michelino per servirvi, presente all'appello.<span style="font-size: 13.5pt;"><o:p></o:p></span></div>
</div>
<div style="text-align: center;">
<o:p></o:p></div>
<div style="margin: 0cm 0cm 0.0001pt; text-align: center;">
<div style="text-align: left;">
“Oggi non è andata male per niente”, faccio cenno a Genny. Mi tocco le tasche e comincio a tirare fuori una dopo l’altra la refurtiva. Tre gomme da cancellare, due replay di quelle che con la ricarica che costano un botto ma scrivono fico, una matita sola perché mi bucava la coscia.<span style="font-size: 13.5pt;"><o:p></o:p></span></div>
</div>
<div style="text-align: center;">
<o:p></o:p></div>
<div style="margin: 0cm 0cm 0.0001pt; text-align: center;">
<div style="text-align: left;">
Tutto fregato, certo. Durante la ricreazione, ovvio. Sono un mago, nessuno si accorge di niente e il giorno dopo fioccano le mail ai genitori da parte della insegnanti con la richiesta di guardare nelle cartelle dei figli per vedere se per caso non abbiano “materiale didattico non di loro proprietà”.<span style="font-size: 13.5pt;"><o:p></o:p></span></div>
</div>
<div style="text-align: center;">
<o:p></o:p></div>
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“Tutto sta in come inguatti le prove, è la che si vede lo stile”, sorrido. <span style="font-size: 13.5pt;"><o:p></o:p></span></div>
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“Buon sangue non mente”, mormoro Genny. L’ho guardato come si guarda un cane che fa la cacca addosso a una mini cooper appena lavata. S’è messo paura e ha fatto bene, dico io. Inutile che lo dico, no? Cinque dita in faccia tanto per gradire.<span style="font-size: 13.5pt;"><o:p></o:p></span></div>
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Che poi alla fine io non sono tanto male, una gomma da cancellare l’ho regalata anche a quella cessa di mia sorella: “Tieni, le ho detto, cancellati i lineamenti”.<span style="font-size: 13.5pt;"><o:p></o:p></span></div>
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“Cretino”.<span style="font-size: 13.5pt;"><o:p></o:p></span></div>
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Vorrei dirle tante cose ma sto zitto perché se no va a finire che mi tira di nuovo lo smalto blu come quella volta che l’ho schivato alla grande ma poi abbiamo dovuto comprare un divano nuovo.<span style="font-size: 13.5pt;"><o:p></o:p></span></div>
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Alla fine non resisto.<span style="font-size: 13.5pt;"><o:p></o:p></span></div>
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“Dici?” Guardo Sofi, scuoto la testa. Non sarà mai come nostra mamma. Lei sì che è una professionista, a volte la guardo e cerco di riconoscerla: due anni fa sembrava la Barbie. Ma non quelle brutte che fanno adesso per far contente le racchie. Quelle <i style="mso-bidi-font-style: normal;">politically correct, </i>come dice la Ragnatela. Altroché. La Barbie quella fica, la vera Barbie. Senza patata e senza occhi da androide. Uno schianto, la mamma è uno schianto. Io non lo so com’era prima perché la sua faccia vera credo di non averla mai vista, poi però s’è ammalata. Plastichite, mi sa che si chiama.<br />
<a name='more'></a><span style="font-size: 13.5pt;"><o:p></o:p></span></div>
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“Torno subito, il tempo di una punturina. Tu fai il bravo e copia le <i style="mso-bidi-font-style: normal;">a</i> per bene, poi io te le ricontrollo”, mi ricordo questa frase e mai un compito rivisto.<span style="font-size: 13.5pt;"><o:p></o:p></span></div>
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“Tesoro, sei uno schianto”, la Ragnatela va in visibilio per ogni “ritocchino”, così li chiama senza riuscire a chiudere bene la bocca quando parla. Mamma sorride e sbatte gli occhi come un cerbiatto.<span style="font-size: 13.5pt;"><o:p></o:p></span></div>
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Scene che restano impresse.<span style="font-size: 13.5pt;"><o:p></o:p></span></div>
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“Così mi lasci avanti…” sorride la Ragnatela “… Mentre tu te ne vai indietro negli anni….Non sei per niente politically correct, tesoro”.<span style="font-size: 13.5pt;"><o:p></o:p></span></div>
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Rimarrei ore a guardarle. Sono due mostri della natura. Due sorelle che se andranno avanti così dovranno ripresentarsi a ogni Natale. Mamma la adoro, ma zia Mimmi, detta la Ragnatela, è insostenibile allo sguardo. Dire che ha esagerato è poco, a giudicare da come la guardano per strada. In più, rispetto alla mamma, è marrone. Nel senso che si fa lampade su lampade.<span style="font-size: 13.5pt;"><o:p></o:p></span></div>
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Tra l’altro, voglio precisare che “zia” lo dico così, per educazione borghese. In realtà io la chiamo Ragnatela in onore a tutte le sue rughe. Le quali, da quel che ho capito sono comprese nel prezzo delle suddette lampade.<span style="font-size: 13.5pt;"><o:p></o:p></span></div>
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Mamma però non sta a livello della Ragnatela. Diamole tempo, è di quattro anni più giovane. Però è vero anche che negli ultimi tre anni ha cambiato faccia tre volte. Adesso sembra un viado, tra lei e il nostro Boxer non c’è nessuna differenza. Per dire quanto è democratica. Altro che se non è politically correct. Soprattutto è la mia mamma, e io le voglio bene.<span style="font-size: 13.5pt;"><o:p></o:p></span></div>
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Sofi invece non la sopporto. "Violetta de noantri”, le sussurro all’orecchio quando la vedo che fa la bocca a cuore davanti allo specchio. Lei e le amiche sue, una più scorfana delle altre. Chiuse tutti i pomeriggi dentro al maneggio a spazzolare i cavalli, ognuna il suo. “Noi andiamo al mane a studiare”, “Ok, ci vediamo dopo al mane”, “Vieni oggi al mane?”. Mai una di loro che finisse una parola. <span style="font-size: 13.5pt;"><o:p></o:p></span></div>
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Ci sta che un giorno mi metto stuzzico il cavallo così quello assesta a ‘ste scioperate un calcio come si deve. Ma che è uno sport il cavallo? Correte, piuttosto, che siete tutte grasse.<span style="font-size: 13.5pt;"><o:p></o:p></span></div>
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Papà oggi mi sembra più assorto che mai. Fissa il Laipad come un ossesso. Controlla carte, dati, numeri. Ha tutti i cellulari schierati in assetto di guerra sul tavolino davanti al divano. Li prende in mano uno a uno. Li guarda con attenzione. Li apre, cambia le schede che ci sono dentro. Poi da sotto al divano ne tira fuori uno nuovo. Ci mette una scheda dentro, ma dove le trova tutte quelle schede?<span style="font-size: 13.5pt;"><o:p></o:p></span></div>
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“Con quello che ti pago, vedi di evitare il rinvio”. Quando la mia mamma attillatissima è passata lui l’ha rincuorata: “Tempo due giorni, poi butto via anche questo”. “Bravo”, gli ha detto mamma quando lo ha visto , “Meglio essere prudente”.<span style="font-size: 13.5pt;"><o:p></o:p></span></div>
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I due poliziotti stanno sempre qua sotto, ormai sono due mesi. Se sono stanchi si siedono in macchina, se no, ogni tanto passeggiano. Sempre vicino al portone. Io li tengo d’occhio e appena posso lancio l’impossibile. Ho capito che finché ci stanno loro papà non uscirà mai di casa.<span style="font-size: 13.5pt;"><o:p></o:p></span></div>
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Cioè, io non è che sono scontento. Anzi, se ci penso sono proprio fortunato. A parte la dislessia, ovvio. Il Berlucci, ad esempio, scrive nei pensierini che il padre non c’è mai , che è sempre in viaggio per lavoro, che a lui gli manca tanto. Io, Michelino Burghèss, di certo non posso dire questo: mio padre è uno di quei padri che, si può proprio dire, ci sono sempre. Però ogni tanto due calci al pallone mi piacerebbero. Tipo, che ne so, giocare a tiri in porta, come fa Carlo Alberto, che il padre si ritaglia, dice proprio così, “si ritaglia” una mezz’ora a settimana dopo il lavoro, prima dello squash con il colleghi e dopo il kart con gli amici, per portarlo al laser tag. <span style="font-size: 13.5pt;"><o:p></o:p></span></div>
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“Meglio a casa che al gabbio”, ha detto l’altro giorno Genny. L’ho guardato e insieme abbiamo finito la frase: “L’hanno detto i miei”… Troppo, sono d’accordo con voi. Non s’è regolato lui e non mi sono regolato io: ho sentito un caldo strano che mi risaliva dalla pancia e senza avere il tempo di pensarci, gli ho fratturato un braccio, sì. Non è stato facile ma alla fine ci sono riuscito. Bloccato a terra e ci sono ricaduto sopra di peso.<span style="font-size: 13.5pt;"><o:p></o:p></span></div>
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Tre giorni a casa. Sospeso.<span style="font-size: 13.5pt;"><o:p></o:p></span></div>
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“Con obbligo di frequenza?”, ha chiesto sorridendo la mia mamma cotonata alla direttrice.<span style="font-size: 13.5pt;"><o:p></o:p></span></div>
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“No, a casa”.<span style="font-size: 13.5pt;"><o:p></o:p></span></div>
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E così eccomi qui. Ecco perché ho il tempo di scrivere questo diario:. perché per punizione mi hanno dato il compito di descrivere la mia famiglia.<span style="font-size: 13.5pt;"><o:p></o:p></span></div>
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“Tale padre, tale figlio”, pare che abbiano detto i genitori di Genny. Me lo ha riferito lui via Skype, devo collegarmi con lui tutti i giorni, ha detto la maestra, per sapere come sta e rendermi conto di quello che ho combinato.<span style="font-size: 13.5pt;"><o:p></o:p></span></div>
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E vi garantisco che essere costretti a stare dentro casa per forza non è che sia proprio il massimo. Oltretutto c’è pure questo: che pensi e pensi. E più pensi più rifletti e più rifletti, più ti vengono in mente i danni che puoi fare appena esci fuori. <span style="font-size: 13.5pt;"><o:p></o:p></span></div>
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Guardo papà. Chissà che cosa sta pensando, lui. Che idee mai si starà facendo venire in mente, più fiche ancora di quelle che ha avuto finora? Come quella volta che in un giorno solo è andato e tornato da isole lontanissime per una questione di lavoro? Oppure quella volta che s’è comprato e vendute dieci barche nel giro di un’ora? Perché parliamoci chiaro: ci saranno pure papà che giocano a Trivial con i figli, non dico di no. E ci saranno pure quelli che vanno a correre con loro, a giocare a pallacanestro, che organizzano feste e giochi con i compagni di classe. Ma dove lo fabbricano un altro papà che riesce a giocare a Transformer per davvero? Cioè, lo sapete quanti passaporti ha mio padre, Gioacchino Burghèss? Sparate un numero, non ce la farete mai. Ve lo dico io: minimo trentadue. Lui non lo sa che lo so: ne parlavano al bar l’altro giorno, dice che lo avevano sentito in televisione. Da piccolo doveva essere un dio a “Indovina chi”. Un dio vero. Un Superman. Che va, fa quello che deve fare veloce, ogni volta con un aspetto che non è il suo, e poi, come Klark Kent ritorna qua con la sua vera faccia. Lui, ha ragione lo zio Dodo, è proprio vero che è uno che gli anni che gli danno non cerca mai di ridurseli. Politically correct ci sta tutto. Anzi. Super – politically correct.<span style="font-size: 13.5pt;"><o:p></o:p></span></div>
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<span style="font-family: "garamond" , serif;"> </span></div>
Chiara Licohttp://www.blogger.com/profile/05765929314785063157noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-432065510953806107.post-26214958124886014482016-03-10T15:30:00.001+01:002016-03-10T15:58:53.275+01:00BURGHESS INSIDE - 5/5<div align="center" class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 10pt; text-align: center;">
<span style="font-family: "garamond" , "serif"; font-size: 12pt; line-height: 18.4px;">BURGHESS INSIDE<o:p></o:p></span></div>
<br />
<div align="center" class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 10pt; text-align: center;">
<span style="font-family: "garamond" , "serif"; font-size: 12pt; line-height: 18.4px;">di Chiara Lico<o:p></o:p></span></div>
<br />
<div align="center" class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 10pt; text-align: center;">
</div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<span style="font-family: "garamond" , "serif"; font-size: 12pt; line-height: 18.4px;">Ieri mattina mi sono svegliato presto anche se era domenica. E quindi, tanto per cominciare ho visto ciò che continuerà a garantirmi una paghetta niente male ancora per qualche mese: cioè Sofi che tornava quatta quatta alle otto del mattino. Mi sono appoggiato alla porta, ho incrociato le caviglie una sull’altra e rassicurante ho indicato l’orologio: “Dove sei stata?”</span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0pt;">
<span style="font-family: "garamond" , "serif"; font-size: 12pt; line-height: 18.4px;">Spettinata, paonazza, puzzolente di tutto. <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Che cozza</i>, ho pensato, <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Ma chi ti si piglia</i>, <i style="mso-bidi-font-style: normal;">giusto uno sfigato</i>. Mi ha risposto farfugliando. Ho capito subito che non ci stava con la testa.<o:p></o:p></span></div>
<span style="font-family: "garamond" , "serif"; font-size: 12pt; line-height: 18.4px;">“Bene, le ho detto: 50 euro a settimana e non ti ho mai visto”.<o:p></o:p></span><br />
<span style="font-family: "garamond" , "serif"; font-size: 12pt; line-height: 18.4px;">Me ne ha date subito venti. Caro Babbo Natale, st’altr’anno col cavolo che mi freghi. Averlo saputo prima, altro che uno: cento me ne compravo di Laipad.<o:p></o:p></span><br />
<span style="font-family: "garamond" , "serif"; font-size: 12pt; line-height: 18.4px;">“Vai a letto, racchia”, rido. Violetta in salsa sciapita. La guardo mentre sfasciata se ne va a fare finta di aver dormito qui tutta la notte. Infilo i soldi nel salvadanaio a forma di sedere di donna. (Me lo ha regalato zio Dodo, a Natale).<span style="mso-spacerun: yes;"> </span><o:p></o:p></span><br />
<span style="font-family: "garamond" , "serif"; font-size: 12pt; line-height: 18.4px;">E’ proprio vero che siamo democratici, noi Burghèss. Ma noi Burghèss, intendo: cioè io, papà, e zio Dodo. Noi siamo una realtà precisa.<o:p></o:p></span><br />
<span style="font-family: "garamond" , "serif"; font-size: 12pt; line-height: 18.4px;">Noi, e la Mummia. Cioè la nonna. Una che tratta gli altri in un modo che persino io le staccherei quella parrucca di capelli grigio-blu. Un mostro vero, più simile a una lucertola che a una donna. Con tre chiodi fissi: burraco, bridge e trincare. Ma solo quando nessuno la vede, “Se no dov’è la signorilità?”, chiede.<o:p></o:p></span><br />
<span style="font-family: "garamond" , "serif"; font-size: 12pt; line-height: 18.4px;">Se l’obiettivo era diventare come la mummia, la mia mammetta plastificata non ce l’ha fatta. Lì c’è di mezzo la genetica, ragazzi. Non è roba che improvvisi con un bisturi e due blefaro. La Mummia è la Mummia perché c’è nata così. Una che fa prima a farti piangere che a farti schifo, il che è tutto dire.</span><br />
<a name='more'></a><span style="font-family: "garamond" , "serif"; font-size: 12pt; line-height: 18.4px;"><o:p></o:p></span><br />
<span style="font-family: "garamond" , "serif"; font-size: 12pt; line-height: 18.4px;">La mia mamma, dicevo, col suo sedere rifatto e la sua terza all’insù da liceale non solo non s’è qualificata per le finali con la Mummia, ma ogni volta che stanno vicine sembra una di quelle pellicole per alimenti: che appena le sfiori si raggrinziscono e afflosciano. E considerate che mia nonna di certo non la sfiora, semmai la bucherella con la forchetta.<o:p></o:p></span><br />
<span style="font-family: "garamond" , "serif"; font-size: 12pt; line-height: 18.4px;">Per questo dopo ogni “Cena in famiglia” mi ritrovo la mia mamma siliconata che piange davanti allo specchio e ripete “Chi me l’ha fatto fare”. Perché lei è una che arrotola il tubetto del dentifricio quando dentro c’è un pochino di pasta per non sprecarlo (io lo so, ma non lo dico). Una di quelle che spegne la luce da una stanza all’altra (zitti, per carità). Una che ancora litiga in macchina se gli altri non si fermano allo stop o se le tagliano la strada.<o:p></o:p></span><br />
<span style="font-family: "garamond" , "serif"; font-size: 12pt; line-height: 18.4px;">Voglio dire, lei non è capace. Non è ancora in grado di portarsi appresso un chiodino e senza dare troppo nell’occhio piazzarlo un po’ piegato sotto alla ruota di dietro di chi le ha fregato il parcheggio. Oppure di tirare fuori le chiavi e avvicinarsi con eleganza alla macchina della signora del piano di sopra e andare decisa a fondo. “Semplicemente, non ce la fa”, dice la Mummia scuotendo la testa.<o:p></o:p></span><br />
<span style="font-family: "garamond" , "serif"; font-size: 12pt; line-height: 18.4px;">Io sto zitto e mi carico. Anche perché la vedo con i miei occhi che si applica, come dice la maestra. Parliamoci chiaro: mica è da tutti cambiarsi i connotati per essere accettata.<o:p></o:p></span><br />
<span style="font-family: "garamond" , "serif"; font-size: 12pt; line-height: 18.4px;">Poi è vero che ogni tanto ha qualche cedimento e dice: “Ma che ne sai tu”. E io la guardo, che è un po’ triste, e mi sembra bellissima.<o:p></o:p></span><br />
<span style="font-family: "garamond" , "serif"; font-size: 12pt; line-height: 18.4px;">Io invece, Michelino Burghèss, me ne strafrego. Di tutto e di tutti. Ma senza aver studiato: direttamente di mio, sono borghese. “Burghèss inside”, dice lo zio Dodo accarezzandomi la testa dopo aver saputo che ho riazzoppato la maestra che mi ha messo in punizione per aver fratturato il naso a Genny che, ancora una volta, non ha contato fino a tre prima di parlare. Si parla di anca, stavolta: s’è accartocciata sotto alla predella della cattedra. Devo dire che il volo è stato brutto, ma perché è brutta lei. Fosse stata una come quelle che guarda zio Dodo le gambe all’aria non sarebbero state niente male…<o:p></o:p></span><br />
<span style="font-family: "garamond" , "serif"; font-size: 12pt; line-height: 18.4px;">“Come mai sei venuto tu a prendermi a scuola?”, gli chiedo. “Ma tu<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>lo sai che cos’è un pornazzo?”, rilancia lui.<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Lo guardo e in effetti ha ragione papà: sta messo male di brutto.<o:p></o:p></span><br />
<span style="font-family: "garamond" , "serif"; font-size: 12pt; line-height: 18.4px;">Elastico come arma impropria, hanno scritto sulla nota. Mi fanno pena ‘st’insegnanti, meno male che a casa non mi hanno mai obbligato a rispettarli, se no pensate quanto potevo rimanerci male.<o:p></o:p></span><br />
<i style="mso-bidi-font-style: normal;"><span style="font-family: "garamond" , "serif"; font-size: 12pt; line-height: 18.4px;">Elastico come arma di difesa, semmai</span></i><span style="font-family: "garamond" , "serif"; font-size: 12pt; line-height: 18.4px;">.<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Perché io sono uno che ascolta quello che dicono i grandi e obbedisce. Infatti ho cominciato a difendere la mia famiglia dopo che un giorno ho sentito papà che diceva a zio Dodo “Tuteliamoci da soli, ormai non c’è più nessuno che ci difende, l’hai capito o no?”.<o:p></o:p></span><br />
<span style="font-family: "garamond" , "serif"; font-size: 12pt; line-height: 18.4px;">Ci penso io, papà, mi sono detto quel giorno. E da allora botte da orbi a chiunque dice qualcosa su di noi. Soprattutto su papà.<o:p></o:p></span><br />
<span style="font-family: "garamond" , "serif"; font-size: 12pt; line-height: 18.4px;">Insomma, l’ho legato tra la gamba della cattedra e quello della sedia di quella vecchiaccia della maestra che m’aveva cacciato fuori dall’aula. Un capitombolo che più fico non si poteva. Si sono viste pure le calze contenitive marrone scuro. Capitombolo e contenitive l’ho pensato ma non l’ho detto (sempre perché sono dislessico, questo ormai si sa).<span style="mso-spacerun: yes;"> </span><o:p></o:p></span><br />
<span style="font-family: "garamond" , "serif"; font-size: 12pt; line-height: 18.4px;">E così ieri doveva essere l’ultimo giorno dentro casa. Sia per<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>me che per lui. Infatti oggi sono entrato in classe convinto che nel pomeriggio avremmo fatto due tiri in porta insieme per festeggiare l’aria fresca. E qua c’è stata la battuta di Genny.<o:p></o:p></span><br />
<span style="font-family: "garamond" , "serif"; font-size: 12pt; line-height: 18.4px;">“L’hanno detto i tuoi, vero?” gli ho chiesto.<o:p></o:p></span><br />
<span style="font-family: "garamond" , "serif"; font-size: 12pt; line-height: 18.4px;">“No, l’ha detto la radio mentre i miei mi portavano a scuola”.<o:p></o:p></span><br />
<span style="font-family: "garamond" , "serif"; font-size: 12pt; line-height: 18.4px;">Non c’ho visto più.<o:p></o:p></span><br />
<span style="font-family: "garamond" , "serif"; font-size: 12pt; line-height: 18.4px;">Prima di cena ho acceso la tv, ma non c’ho capito niente. Secondo me lo fanno apposta, meno capisci più sei contento.<span style="mso-spacerun: yes;"> </span><o:p></o:p></span><br />
<span style="font-family: "garamond" , "serif"; font-size: 12pt; line-height: 18.4px;">Poi la mamma ci ha chiamato, a me e alla racchia e ci ha spiegato come stanno i fatti. Lì ho capito e sono diventato un po’ triste.<o:p></o:p></span><br />
<span style="font-family: "garamond" , "serif"; font-size: 12pt; line-height: 18.4px;">“Papà è dovuto partire in fretta per un lungo viaggio”.<o:p></o:p></span><br />
<span style="font-family: "garamond" , "serif"; font-size: 12pt; line-height: 18.4px;">Sofi è rimasta zitta. Io lì per lì anche. Ma è durata un attimo, perché ho capito subito quant’è scemo Genny. Altro che al fresco, papà è andato in un paese lontano, al caldo. Un paese bellissimo dove appena potremo andremo anche noi, ha detto la mamma.<span style="mso-spacerun: yes;"> </span><o:p></o:p></span><br />
<span style="font-family: "garamond" , "serif"; font-size: 12pt; line-height: 18.4px;">All’inizio non lo riconosceremo perché farà delle operazioni e cambierà faccia. “Anche lui?!” ha urlato rancida come un’arancia muffa la mia sorella befana.<o:p></o:p></span><br />
<span style="font-family: "garamond" , "serif"; font-size: 12pt; line-height: 18.4px;">Io invece sono stato zitto. Sono andato in camera mia e senza fare rumore ho sfilato da sotto al letto il Laipad che mi sono comprato di nascosto con i soldi dei ricatti. Da Natale a oggi ho ricattato tutti: oltre a mia sorella, perché è scema e se lo merita, ho battuto cassa alla signora di sopra (se no sgozzavo il cane); a Genny (se no gli rubavo la merenda); alla supplente (se no le facevo trovare la cacca di cane nella borsa), alla Ragnatela, alla Mummia e a tutti quelli che potevo.<o:p></o:p></span><br />
<span style="font-family: "garamond" , "serif"; font-size: 12pt; line-height: 18.4px;">Ma soprattutto a mio padre, l’unico che non mi ha preso sul serio. Neppure quando gli ho detto che lo avevo visto che si baciava con l’amante di zio Dodo. E nemmeno quando gli ho detto che avevo fotografato quei documenti che avevo visto sul suo Laipad, con i nomi e tutto.<o:p></o:p></span><br />
<span style="font-family: "garamond" , "serif"; font-size: 12pt; line-height: 18.4px;">Niente. Non ha voluto darmi un centesimo.<o:p></o:p></span><br />
<span style="font-family: "garamond" , "serif"; font-size: 12pt; line-height: 18.4px;">E allora io sono stato costretto. Sono andato dalla mamma, quel giorno che l’avevo vista bellissima, e le ho detto tutto, amante compresa. Al resto c’ha pensato lei. Soprattutto a parlare con la Guardia di Finanza. (Anche perché io sono dislessico, ormai si sa).<o:p></o:p></span><br />
<span style="font-family: "garamond" , "serif"; font-size: 12pt; line-height: 18.4px;">Burghèss inside, s’era detto.<o:p></o:p></span><br />
<span style="font-family: "garamond" , "serif"; font-size: 12pt; line-height: 18.4px;">Mi siedo sul divano proprio dove stava seduto papà. Prendo in mano il mio Laipad e comincio a viaggiare nei mille mondi fantastici che ho sempre sognato.</span>Chiara Licohttp://www.blogger.com/profile/05765929314785063157noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-432065510953806107.post-5106662200291214782015-02-18T21:22:00.000+01:002015-02-18T21:28:41.349+01:00CARCERI, LA MORTE CELEBRATA SUL WEB: NON BASTA L'OBLIO <span style="color: #252525; font-family: "Garamond","serif"; mso-bidi-font-family: Arial;"><span style="font-family: "Garamond","serif"; font-size: 12pt; line-height: 115%; mso-ansi-language: IT; mso-bidi-font-family: "Times New Roman"; mso-bidi-language: AR-SA; mso-bidi-theme-font: minor-bidi; mso-fareast-font-family: Calibri; mso-fareast-language: EN-US; mso-fareast-theme-font: minor-latin;">Adesso
i volti non sono più visibili. E neppure i nomi. Cancellati
velocemente, insieme alle frasi ingiuriose e infamanti che alcune guardie
penitenziarie avevano postato per gioire del suicidio, nel carcere di
Opera, di un detenuto condannato all'ergastolo. Tutto cancellato con un clic,
perché nessuno conosca l'entusiasmo condiviso per il gesto di un uomo che
rinuncia alla sua vita mentre è affidato alle mani dello Stato. Un
entusiasmo che è stato reso pubblico, condiviso, che ad alcuni è
persino piaciuto, che ha suscitato approvazione e incoraggiamento. Anche quando
i commenti, uno dopo l'altro, pubblicati sul profilo Facebook di un
piccolo sindacato di polizia penitenziaria, l'Alsippe, suggerivano ironici
consigli "disposizione più corde e più sapone". O inviti sarcastici:
"Collega, scala la conta". Tutto pubblicato, tutto visibile.
Potenzialmente anche da qualcuno che conosceva il rumeno 39enne Ioan Gabriel
Barbuta, condannato a vita per aver ucciso un vicino di casa. <span style="color: black;">E' Internet, e in questo caso non è bellezza. </span>Ma
cassa di risonanza facile e gratuita, aperta a tutti - e chi vuol
prendere prenda pure - di un'irresponsabile possibilità di far
girare parole come fossero informazioni. E' il caso di questa storia,
cominciata tre giorni fa con la morte di un uomo e culminata oggi nella
celebrazione cosciente del suo gesto sentito come riscatto per tanti. Oltraggi
non a un uomo ma a un'intera condizione, offese messe nero su bianco in
totale sprezzo della dignità umana. Dileggiata proprio da chi, quella stessa
dignità, è chiamato a tutelarla, a proteggerla. Messaggi che hanno
scatenato polemiche e indotto il dipartimento per l'amministrazione
penitenziaria a parlare di "fango" nei confronti di tutti gli
agenti impegnati a tutelare le persone che hanno in custodia. Quindi, l'avvio
di un'inchiesta interna. E poi l'intervento del guardasigilli. Potere anche
questo di Internet, va detto. Che prende e toglie senza guardare in faccia
nessuno. E che con la stessa facilità con la quale fa transitare l'osceno, fa
anche sì che l'osceno possa essere
censurato. E se sarà la giustizia a stabilire se
comminare pene - e quali - a chi si è reso responsabile di portare in
trionfo l'estremo gesto della disperazione umana, a chi scrive resta da
chiedersi fino a che punto la libertà stabilita dal potere della Rete
sia da temere se lasciata senza una custodia adeguata. Perché anche se
adesso le frasi ingiuriose e offensive sono state cancellate, è pur vero che
sono esistite. E come accade per tutto ciò che nasce e muore, un seme da
qualche parte resta e prima o poi germoglierà di nuovo. Il piccolo
sindacato, chiamato in causa, ha spazzato via con un clic le tracce
di un malessere che si è trasformato in vilipendio. Ma il vilipendio c'è
stato. L'oblio non può esserci.</span></span>Chiara Licohttp://www.blogger.com/profile/05765929314785063157noreply@blogger.com1tag:blogger.com,1999:blog-432065510953806107.post-31137010351099954382015-02-03T16:15:00.002+01:002015-02-05T09:31:43.838+01:00"IO TWITTO, TU ZITTO" DA OGGI SU BUDUAR.ITSul nuovo numero di <em>Buduar.it</em> è stato pubblicato il mio post umoristico "Io Twitto, tu zitto". Uscito su questo blog il 28 Agosto 2014, da oggi, valorizzato dalle illustrazioni di Milko Dalla Battista, trova spazio nella rivista satirica online diretta da Dino Aloi e Alessandro Prevosto. <br />
Grazie ai direttori e all'illustratore. <br />
<a href="http://www.buduar.it/buduar22/" target="_blank"><span style="color: magenta;">Per leggerlo vai a pagina 73</span></a>Chiara Licohttp://www.blogger.com/profile/05765929314785063157noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-432065510953806107.post-17737160777181579622015-01-21T23:53:00.002+01:002015-02-03T16:31:34.301+01:00ESPLOSIONE ROMA, SE UN'ANZIANA SCEGLIE LA GIUSTIZIA FAI DA TE<span style="font-family: "Trebuchet MS", sans-serif; font-size: 12pt; line-height: 115%;"><span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 11pt;">Doveva
essere una notte come tante, un condominio anonimo della capitale e invece c’è
un uomo innocente che è morto, e già questo basta per far parlare di tragedia.
Ci sono 21 feriti, che dovranno capire di essere vivi per miracolo. E poi c’è
una donna, anziana, che pensa di garantirsi un risarcimento per torti subiti,
la certezza di una tranquillità che adesso lei si vede negata. Il fai da te,
insomma, come assicurazione di una pace pretesa. O, perlomeno, di una giustizia
che non si certi di vedere, dopo.</span></span><br />
<a name='more'></a><span style="font-family: "Trebuchet MS", sans-serif; font-size: 12pt; line-height: 115%;"><br />
<span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 11pt;"></span><span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 11pt;">Ottantatré
anni, di origini sarde. Senza più quel compagno con il quale ha diviso una casa
e una vita e senza nessuno che la consigli di fronte all’ennesima ingiunzione
di sfratto avanzata dai nuovi proprietari: i figli del suo compagno, oggi eredi
della sua casa. </span><br />
<span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 11pt;"></span><span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 11pt;">Sola. E cosciente di dover andar via. E nella sua solitudine Giovannina Serra macera la convinzione di mettere fine a una
persecuzione subita, a un torto perpetrato, a un’onta troppo a lungo tollerata.
</span><br />
<span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 11pt;"></span><span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 11pt;">Nella sua
testa l’ora di reagire scatta davanti a una bombola del gas in grado di
sventrare un palazzo di quattro piani. Ma questo viene dopo, l’importante è
smettere di subire e vendicarsi.</span><br />
<span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 11pt;"></span><span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 11pt;">Dietro
all’esplosione in piena notte, a Roma, del palazzo in cui abitavano e dormivano
inquilini e residenti, famiglie con bambini e lavoratori che il giorno dopo
dovevano alzarsi all’alba, c’è il vuoto incolmabile di una società e di uno
stato, che ieri - nel conflitto a fuoco tra legge e giustizia – hanno
perso di nuovo e mostrato a tutti la voragine che li separa.</span><br />
<span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 11pt;">“Non mi
pento di quello che ho fatto”, ha detto la donna quando la polizia l’ha
arrestata. Parole che in sé portano certezze di verità. Non lontane dalle
intenzioni che accompagnano i gesti estremi e fanatici dei seminatori di
morte. </span><br />
<span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 11pt;"></span><span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 11pt;">Una donna
convinta di essere nel giusto, tanto da accompagnare il gesto con la firma:
“Non vi godrete la casa, perché siete ladri”. E’ la realtà ribaltata,
rivoluzionata. La finzione che si fa verità agli occhi di chi decide di farsi
giustizia da sé. E così, chi si sente vittima, finisce con il credere di
esserlo davvero. La sintesi di questo strappo è Giovannina Serra. Che
giorno dopo giorno si è caricata di rabbia, fino a esplodere – come la sua
bombola - spargendo dolore sugli innocenti. </span><br />
<span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 11pt;"></span><span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 11pt;">Un episodio
che porta a chiedersi – allargando lo sguardo – dove sia finita quella rete di
sostegno che tiene (e ripara, e difende) a dispetto degli scossoni della realtà
e dei suoi sgambetti, e di un welfare latitante. Una rete che nel piccolo è la
famiglia e in scala è la società; un tessuto a maglie strette in cui i più
grandi e forti difendono e tutelano i più piccoli e indifesi secondo la più
grande legge del buon senso. Certezze. Garanzie. Che se saltano, come i posti
di lavoro, i letti d’ospedale, i diritti negati, permettono che si inneschi la
legge del più forte (che spesso è anche il più tutelato) e al loro posto lasciano
vuoti umani e materiali. Buchi profondi che si colmano di rabbia. E che alla
fine, soprattutto se deboli, esplodono. </span><br />
<span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 11pt;"></span><span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 11pt;">Giovannina
Serra, a 83 anni, anello più indifeso di una catena familiare e sociale, è
accusata di omicidio e di strage. </span><br />
<span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 11pt;"></span><span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 11pt;">Però. In questa
rete bucata che ha permesso al dolore e all’orrore di fare capolino insieme,
c’è la lacuna di una cultura che non tiene più conto né in considerazione gli
anziani e il loro universo disseminato di ricordi e di fantasmi. Che considera
il patrimonio degli anni come un fardello pesante di cui scrollarsi il prima
possibile, che nell’avvicendarsi del tempo legge solo rughe e vecchiaia. E’ il
tempo svalutato, gli anni snaturati del loro crescere e ispessirsi. Va letta
trasversalmente, anche se con il rispetto dovuto a una vita che non c’è più, la
tragedia di una donna, anziana, che finisce la sua vita con una macchia
indelebile sulla coscienza. Ossessionata dall’idea di rimanere senza un tetto
sulla testa, pur avendo altre abitazioni, ma evidentemente considerando <i style="mso-bidi-font-style: normal;">casa sua </i>solo
quella nella quale era vissuta felice. Di questa donna, di cui molti sapevano
che a lungo aveva desiderato farsi intestare la casa dal compagno, che chi la
conosce ricorda come “angosciata”, della quale nessuno esita a dire “si sentiva
perseguitata”, e che addirittura venti giorni fa aveva lasciato aperti i
fornelli, di questa donna, nessuno hai mai pensato di occuparsi, magari
chiamando un assistente sociale? E nei tanti e ripetuti momenti delle
ingiunzioni, non c’è mai stato un medico che, allertato dal suo stato, possa
aver valutato un intervento specifico? Dubbi così. Interrogativi. Che
aggiungono macigni di riflessioni a quelli lasciati da un’esplosione che poteva
essere evitata, solo fossero state messe in campo - per tempo – le
attenzioni dovute agli anziani soli.</span><span style="font-family: "Verdana","sans-serif"; font-size: 11pt;"> </span><span style="font-size: 11pt;"><o:p></o:p></span><br />
<span style="font-family: Times New Roman;">
</span><u1:p></u1:p></span>Chiara Licohttp://www.blogger.com/profile/05765929314785063157noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-432065510953806107.post-3576083039818701942015-01-12T10:07:00.000+01:002015-01-22T00:05:26.877+01:00CHARLIE HEBDO E L'ITALIA SI RISCOPRE AMICA DI SATIRA E VIGNETTE<br />
<div style="line-height: normal; margin: 0cm 0cm 0pt 5.65pt;">
<span style="font-family: "Garamond","serif"; font-size: 12pt;">“Che guerra è, una
guerra alle matite”?</span></div>
<div style="line-height: normal; margin: 0cm 0cm 0pt 5.65pt;">
<span style="font-family: "Garamond","serif"; font-size: 12pt;"></span><span style="font-family: "Garamond","serif"; font-size: 12pt;">Muovo il cursore verso
il basso, sposto il mouse alla ricerca di almeno un’altra frase, in questa
mail. Invece no, dopo il punto interrogativo, a capo ci sono i saluti,
affettuosi e sinceri. </span></div>
<div style="line-height: normal; margin: 0cm 0cm 0pt 5.65pt;">
<span style="font-family: "Garamond","serif"; font-size: 12pt;"></span><span style="font-family: "Garamond","serif"; font-size: 12pt;">Mentre ovunque mi risuona
intorno la protesta di Parigi, il suo popolo in piazza con le matite in alto. </span><span style="font-family: "Garamond","serif"; font-size: 12pt;">Giro lo sguardo, lo
riporto sul monitor. Una mail caduta tra capo e collo. Che mi disturba perché
mi porta a riflettere mentre in realtà io stavo facendo altro. </span></div>
<div style="line-height: normal; margin: 0cm 0cm 0pt 5.65pt;">
<span style="font-family: "Garamond","serif"; font-size: 12pt;"></span><span style="font-family: "Garamond","serif"; font-size: 12pt;">Precisamente stavo
cercando. Sì, esatto, cercando. </span><br />
<span style="font-family: "Garamond","serif"; font-size: 12pt;">E adesso devo
ricominciare da dove sono stata interrotta. </span></div>
<div style="line-height: normal; margin: 0cm 0cm 0pt 5.65pt;">
<span style="font-family: "Garamond","serif"; font-size: 12pt;"></span><span style="font-family: "Garamond","serif"; font-size: 12pt;">Comunque. Giacché ci
sono, mi fermo un momento sulla mail. Per poco, però. Perché devo cercare.</span><br />
<span style="font-family: "Garamond","serif"; font-size: 12pt;">Guardo la firma<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>in calce alla mail. E’ di Dino Aloi –
ideatore e fondatore - insieme ad Alessandro “Palex” Prevosto e a Marco de
Angelis del mensile online di satira sociale <span style="color: blue;"><a href="http://www.buduar.it/" target="_blank"><span style="color: blue;">Buduàr.it.</span></a> </span>nato nel 2012 e che
oggi vanta disegnatori e fumettisti da tutto il mondo. </span><a name='more'></a><br /></div>
<div style="line-height: normal; margin: 0cm 0cm 0pt 5.65pt;">
<span style="font-family: "Garamond","serif"; font-size: 12pt;"></span><span style="font-family: "Garamond","serif"; font-size: 12pt;">Inc</span><span style="font-family: "Garamond","serif"; font-size: 12pt;">ontrati tutti e tre
un mese fa. L’idea: realizzare un servizio per il telegiornale sul ruolo del
disegnatore/vignettista satirico in Italia. Non l’avessi mai fatto. Tanto per
cominciare scopro che il disegno è<span style="mso-spacerun: yes;">
</span>definito (quindi considerato) la nona arte. E già qui. Poi realizzo che
all’estero non c’è differenza tra satira e umorismo. E che se la satira è
sociale è anche politica, tanto che si parla di <i style="mso-bidi-font-style: normal;">editorial cartoon</i>. Ma guarda un po’. E pensare che qui satira e
umorismo nascono nel 1848. </span><span style="font-family: "Garamond","serif"; font-size: 12pt;"> </span></div>
<div style="line-height: normal; margin: 0cm 0cm 0pt 5.65pt;">
<span style="font-family: "Garamond","serif"; font-size: 12pt;"></span><span style="font-family: "Garamond","serif"; font-size: 12pt;">Volume alto, la
televisione mi riporta al presente. Parla il primo ministro italiano, parla il
presidente italiano, parla il ministro degli esteri italiano, parla il ministro
degli interni italiano. Solidarietà che va e che viene. Siamo tutti francesi.
Intanto i francesi veri sono in piazza. E si organizzano per occupare le strade
anche quelli che abitano a Roma.</span></div>
<div style="line-height: normal; margin: 0cm 0cm 0pt 5.65pt;">
<span style="font-family: "Garamond","serif"; font-size: 12pt;"></span><span style="font-family: "Garamond","serif"; font-size: 12pt;">Penso Che strano, non
conosco nessuno che compra in edicola un giornale satirico. </span></div>
<div style="line-height: normal; margin: 0cm 0cm 0pt 5.65pt;">
<span style="font-family: "Garamond","serif"; font-size: 12pt;">Malfidata che non sono
altro, così non va bene. Sento che mi sto distraendo, non c’è niente da fare.
Sto divagando, e questo non è bello. Mi sono data un obiettivo: cercare e
trovare. Mi sforzo ma niente, è tutto inutile. Eppure ero convinta di avere
buona memoria, io. </span><span style="font-family: "Garamond","serif"; font-size: 12pt;"> </span></div>
<div style="line-height: normal; margin: 0cm 0cm 0pt 5.65pt;">
<span style="font-family: "Garamond","serif"; font-size: 12pt;"></span><span style="font-family: "Garamond","serif"; font-size: 12pt;">Ritorno a un mese fa. Alla
mia idea di raccontare le frontiere del disegno, meglio se sgradite. “Noi che
disegnamo per raccontare la realtà la interpretiamo e la esasperiamo”. Mi rivedo davanti Fabio Sironi: uno che oltre
ad aver girato il mondo con Ettore Mo e averlo raccontato per immagini, con i
suoi disegni ha anche documentato<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>-
prima esperienza in Italia - il processo di Cogne, vietato alle telecamere e ai
fotografi. Oggi anche lui collabora con Buduàr. Perché Buduàr? “Nostalgia del
Salone dell’Umorismo. Quindi salotto, divano. Ma anche postribolo”. Palex
sorride. Poi si fa serio: “Lasciamo le vignette nella lingua in cui ci
arrivano. Non traduciamo mai i nostri collaboratori.” E neanche li archiviano,
se è per questo. “Una vignetta di Giorgio Cavallo di trent’anni fa che racconta
della spazzatura la pubblichiamo ancora oggi”, specifica Dino Aloi. </span><span style="font-family: "Garamond","serif"; font-size: 12pt;"> </span></div>
<div style="line-height: normal; margin: 0cm 0cm 0pt 5.65pt;">
<span style="font-family: "Garamond","serif"; font-size: 12pt;"></span><span style="font-family: "Garamond","serif"; font-size: 12pt;">Mi alzo, cerco di
ritrovare la concentrazione, ma niente. Mi chiedo se quello che cerco c’è. Se
esiste, se è contemplato in natura o se l’ho sognato.</span></div>
<div style="line-height: normal; margin: 0cm 0cm 0pt 5.65pt;">
<span style="font-family: "Garamond","serif"; font-size: 12pt;"></span><span style="font-family: "Garamond","serif"; font-size: 12pt;">Oggi si contano dodici
morti ammazzati mentre erano a lavoro. I</span><span style="font-family: "Garamond","serif"; font-size: 12pt;">l nostro paese
raccontato è sconvolto e angosciato per l’attentato a Charlie Hebdo. </span></div>
<div style="line-height: normal; margin: 0cm 0cm 0pt 5.65pt;">
<span style="font-family: "Garamond","serif"; font-size: 12pt;"></span><span style="font-family: "Garamond","serif"; font-size: 12pt;">Perché adesso sa che
chi è morto è stato ucciso per raccontare “con lo strumento della satira,
impugnando una matita”. </span></div>
<div style="line-height: normal; margin: 0cm 0cm 0pt 5.65pt;">
<span style="font-family: "Garamond","serif"; font-size: 12pt;"></span><span style="font-family: "Garamond","serif"; font-size: 12pt;">Il nostro paese reale, invece? </span></div>
<div style="line-height: normal; margin: 0cm 0cm 0pt 5.65pt;">
<span style="font-family: "Garamond","serif"; font-size: 12pt;"></span><span style="font-family: "Garamond","serif"; font-size: 12pt;">Buduàr.it è nato online
perché su carta e in edicola non ce l’avrebbe fatta a sopravvivere, in Italia.</span><br />
<span style="font-family: "Garamond","serif"; font-size: 12pt;">Riprendo una vignetta
di Marco De Angelis,<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>“Olimpiadi di
Roma”. C’è un podio e al primo posto c’è un carabiniere che tiene ammanettati
due malviventi. Sorrido.</span><span style="font-family: "Garamond","serif"; font-size: 12pt;"> </span></div>
<div style="line-height: normal; margin: 0cm 0cm 0pt 5.65pt;">
<span style="font-family: "Garamond","serif"; font-size: 12pt;"></span><span style="font-family: "Garamond","serif"; font-size: 12pt;">Adesso
basta davvero pensare. E’ da dieci ore che non faccio altro che distrarmi. </span></div>
<div style="line-height: normal; margin: 0cm 0cm 0pt 5.65pt;">
<span style="font-family: "Garamond","serif"; font-size: 12pt;"></span><span style="font-family: "Garamond","serif"; font-size: 12pt;">Ora spengo tutto,
chiudo tv, radio, giornali online. Abbasso anche le tapparelle. Devo
concentrarmi e cercare. </span></div>
<div style="line-height: normal; margin: 0cm 0cm 0pt 5.65pt;">
<span style="font-family: "Garamond","serif"; font-size: 12pt;"></span><span style="font-family: "Garamond","serif"; font-size: 12pt;">Cercare di
ricordare,<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>ovvio.<span style="mso-spacerun: yes;"> </span></span></div>
<div style="line-height: normal; margin: 0cm 0cm 0pt 5.65pt;">
<span style="font-family: "Garamond","serif"; font-size: 12pt;"><span style="mso-spacerun: yes;"></span></span><span style="font-family: "Garamond","serif"; font-size: 12pt;">Qual è stata l’ultima
vignetta satirica sulla religione pubblicata in Italia. Sì, in questa Italia.
In quella che oggi grida al rischio bavaglio per la stampa, per la libertà e
per l’espressione. </span></div>
<div style="line-height: normal; margin: 0cm 0cm 0pt 5.65pt;">
<span style="font-family: "Garamond","serif"; font-size: 12pt;"></span><span style="font-family: "Garamond","serif"; font-size: 12pt;">Ma forse sono davvero
malfidata, chi lo pensa ha ragione. Perché noi siamo intelligenti. E furbi.
Soprattutto furbi, è il marchio di qualità. Quindi<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>potrebbe pure essere che giochiamo a ribasso
per non far correre rischi a nessuno. </span><br />
<span style="font-family: "Garamond","serif"; font-size: 12pt;">O no?</span><br />
<span style="font-family: "Garamond","serif"; font-size: 12pt;">Certo, il fatto che i
nostri migliori disegnatori, vignettisti, fumettisti, satirici, umoristi,
vendano tutta la loro arte all’estero e che sempre all’estero vincano premi su
premi qualche dubbio lo fa sorgere. Ma poi passa, basta abbassare tirare le
tendine, chiudere gli scuri, abbassare le tapparelle.<span style="mso-spacerun: yes;"> </span></span><br />
<span style="font-family: "Garamond","serif"; font-size: 12pt;">Dubbio? Tapparella.</span><br />
<span style="font-family: "Garamond","serif"; font-size: 12pt;">Perplessità? Tendina.</span><br />
<span style="font-family: "Garamond","serif"; font-size: 12pt;">Dilemma? Scuri.</span><br />
<span style="font-family: Garamond;">D<span style="font-size: 12pt;">’altra parte con tutta
questa solidarietà che ci avanza siamo o no anime candide?</span></span></div>
<div style="line-height: normal; margin: 0cm 0cm 0pt 5.65pt;">
<span style="font-family: "Garamond","serif"; font-size: 12pt;"></span><span style="font-family: "Garamond","serif"; font-size: 12pt;">Eppure non mi rassegno:
continuerò a cercare ed entro oggi troverò l’ultima vignetta satirica che è
stata pubblicata in Italia sui Papi, su Gesù Cristo, sugli ebrei. </span></div>
<div style="line-height: normal; margin: 0cm 0cm 0pt 5.65pt;">
<span style="font-family: "Garamond","serif"; font-size: 12pt;">T</span><span style="font-family: "Garamond","serif"; font-size: 12pt;">apparella. </span><br />
<span style="font-family: "Garamond","serif"; font-size: 12pt;"><br /></span>
<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<iframe allowfullscreen='allowfullscreen' webkitallowfullscreen='webkitallowfullscreen' mozallowfullscreen='mozallowfullscreen' width='320' height='266' src='https://www.blogger.com/video.g?token=AD6v5dymDE1D18fustWOVEYWkIrO1DDO5oiQMsPMJJ5UCajHwcSzM5oZQs0NiIztteQkUqMNixmL9mA-iwZ1cgGfsw' class='b-hbp-video b-uploaded' frameborder='0'></iframe></div>
<span style="font-family: "Garamond","serif"; font-size: 12pt;">p.s. Vedi il servizio su Buduar.it</span></div>
<div style="line-height: normal; margin: 0cm 0cm 0pt 5.65pt;">
</div>
Chiara Licohttp://www.blogger.com/profile/05765929314785063157noreply@blogger.com1tag:blogger.com,1999:blog-432065510953806107.post-41999508364427874122014-11-13T14:11:00.000+01:002015-01-22T00:07:17.208+01:00STRANIERI E ABUSIVI. GRADITI GLI SCONTRI FUORI LE MURA, GRAZIE<br />
<br />
<span style="font-family: "Verdana","sans-serif";">L'urlo che unisce è
"Fuori gli stranieri". Non importa quali, chi sono, come si chiamano,
perché non li si vuole. "Fuori" è il grido che compatta,
"Via" il comando d'assalto. Lo stesso, identico lamento senza
differenze di accento, da Torino a Milano a Roma. </span><br />
<span style="font-family: "Verdana","sans-serif";">Le grandi città.
Quelle delle grandi occasioni, delle immense possibilità. I luoghi
privilegiati in cui bisogna trasferirsi se si vogliono coltivare contatti e
avere una carta in più da giocarsi. Le città, grandi. Quelle dove i fatti
accadono prima. Che un tempo e prima di altri luoghi sono state culle
della civiltà e punto di smistamento dei traffici. Privilegiate perché
crocevia di incroci di culture e storie diverse. </span><a name='more'></a><br />
<span style="font-family: "Verdana","sans-serif";">Dalla Mesopotamia in avanti
i moderni non hanno più inventato niente. </span><br />
<span style="font-family: "Verdana","sans-serif";">Quello che sta succedendo
in questi giorni a Tor Sapienza, periferia est di una capitale dai tentacoli
periferici sfilacciati, borgata cresciuta alle spalle della provinciale
Prenestina, ex zona industriale della capitale, sedicimila residenti
all'attivo, è insofferenza verso gli immigrati in attesa di documenti che ne
testimonino lo stato (di rifugiato o in transito), e di chiunque si
ritiene debba stare peggio per statuto. Si chiama guerra tra poveri. </span><br />
<span style="font-family: "Verdana","sans-serif";">Roma come Milano, con i
residenti che si scagliano contro chi occupa le case, tanto da far sorgere
comitati spontanei che difendono gli alloggi. Passa sotto
silenzio l'impressionante dato dell'impennata della disoccupazione di
risulta, quella cioè di chi con la crisi perde il lavoro, e non potendo
più pagare mutuo o affitto sfonda porte di abitazioni vuote. </span><br />
<span style="font-family: "Verdana","sans-serif";">Roma come Milano come
Torino. Dove meno di una settimana fa la piazza in tv si è rivoltata
addirittura contro chi le dava la parola, dimostrando non solo il peggio della
diretta ma anche il livello di incomunicabilità. Nella Torino colta e
nordica, nel mirino dei cittadini non erano finiti i Rom e la difficile
convivenza con la loro comunità. No, quella era realtà assodata. La rabbia era
per il fatto che la comunità sinti e rom fosse stata invitata, in uno slancio
televisivo democratico, a dire la sua al pari degli italiani. Ovvero: qui ci
siamo noi a dire la nostra, loro devono tacere. Cioè: neanche alla parola hanno
diritto. </span><br />
<span style="font-family: "Verdana","sans-serif";">Immigrati. Abusivi. Nomadi.
Le città più all'avanguardia d'Italia li vogliono tutti fuori dai piedi. Roma,
Milano, Torino. Le città capitali di patrimoni storici, avamposti d'Europa,
scrigni dei residui culturali regali guardano dall'alto e con disgusto
l'avanzata di un quarto stato sopraffatto e dolorante. </span><br />
<span style="font-family: "Verdana","sans-serif";">C</span><span style="font-family: "Verdana","sans-serif";">he c'entra, l'immigrato è
fico se la storia che rappresenta è positiva (leggi d'integrazione o di
riscatto), purché non toga il lavoro ai nostri. L'abusivo, ovvio: sì che piace
se mette in piedi un giardino verticale o se ripuliscono la
facciata di un palazzo. E i nomadi lo stesso. Basta che sull'autobus non si
avvicinino.</span><br />
<span style="font-family: "Verdana","sans-serif";">E' il rancore che monta:
per un alloggio assegnato, per una tutela ricevuta, per un diritto che si
ritiene ingiusto concedere, per una parola che non si riconosce come diritto.
Una rabbia che aumenta progressivamente a mano a mano che si riduce la coperta.
La sintesi è: se c'è poco, è a noi che spetta. E' la logica del predatore, che
circoscrive il proprio territorio e lo preserva. E' il principio del fuoco
attorno al quale devono riunirsi i simili e solo i simili. Per chi non è
invitato ci sono le armi e gli insulti. Completamente annullato il
concetto dello scambio, tipico delle società evolute e pronte a concedersi; del
<em><span style="font-family: "Verdana","sans-serif";">dono</span></em>,
celebrato in un saggio di Marcel Mauss divenuto pietra miliare
dell'antropologia, in cui il concetto di forma dello scambio nelle società
arcaiche viene sublimato in motivo, in ragione. </span><br />
<span style="font-family: "Verdana","sans-serif";">Eppure Roma come Milano come
Torino, ognuna sotto una diversa rabbia, si uniscono in un grido
che accomuna che è quello, ecumenico e drastico dello slogan del pericolo. Una
volta nei confronti degli anziani nei parchi, un'altra dei bambini non più
liberi di giocare per strada, sempre delle donne a rischio violenza. Come se
bastasse gridare al pericolo perché il pericolo, non ancora
consumato, possa davvero far punire i responsabili. Almeno attaccarli.
</span><br />
<span style="font-family: "Verdana","sans-serif";">Offenderli, insultarli, bastonarli.</span><br />
<span style="font-family: "Verdana","sans-serif";">U</span><span style="font-family: "Verdana","sans-serif";">n ritorno al passato
oscuro, una regressione che in tempi di crisi e di fame non doveva essere
intuita, tanto era evidente. Bastava riandare indietro con la memoria, e
neanche di tanto. Le istituzioni e in genere chi governa, questo
dovrebbero fare: amministrare. Che non significa altro che guardare oltre
rispetto all'oggi. Immaginare una società non per quello che è ma per quello
che dovrà essere. E lavorare oggi per farla essere tale domani. E non servono
doti di intuizione straordinarie. Perché in genere ogni fenomeno attuale ha
degli antesignani. A Corcolle, sempre a Roma est (senza neanche spostarsi
troppo, dunque) a fine settembre c'è stato l'assalto degli autobus e la
reazione dei residenti. Quello era un avvertimento. Un avviso ai naviganti
che andava localizzato. Una miccia, il fuoco che sta per accendersi anche se
ancora serpeggia in trincea. Chi ci governa non sente un leggero odore di
bruciato, non avverte l'incendio che sta divampando? Se a risposta è no,
le spiegazioni sono due: o è già troppo lontano, al riparo sulla
montagna, lì dove non arriva il fumo, figuriamoci il fuoco. Oppure in un
terreno di erbacce pronte a incendiarsi facilmente, quella cicca di sigaretta
accesa, siamo sicuri per distrazione, gli è scivolata inavvertitamente di
mano. </span><br />
<span style="font-family: "Verdana","sans-serif";">Gli inglesi dicono <em><span style="font-family: "Verdana","sans-serif";">Not in my garden</span></em>. Qui
potremmo parafrasare Fuori dal centro storico. </span><br />
<br />
<br />
<div style="margin: 0cm 0cm 10pt;">
<span style="font-family: "Verdana","sans-serif";"> </span></div>
<br />Chiara Licohttp://www.blogger.com/profile/05765929314785063157noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-432065510953806107.post-27658033008721298682014-10-08T13:40:00.001+01:002015-01-22T00:08:39.050+01:00TEATRO (OFF) CHIAMA, ROMA PASSA E CHIUDE<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Gli interessati sappiano che è in scena Roma che muore. E tranquilli se siete al verde, perché lo spettacolo è gratis. L'agonia è fruibile a costo zero e ovunque, basta farsi un giro fuori dalle sale off della capitale dove si crea e si fatica per la sperimentazione teatrale. E non solo in quelle. </span><br />
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span>
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Osservo il volume, lo sfoglio. Ha il dorso rovinato e la copertina il lembo destro ripiegato, l'orecchio del somaro. Sì, l'orecchio del somaro. Le pagine sono sottolineate, scavate, appuntate. Non ce n'è una libera da un appunto o un asterisco, un richiamo, un rimando. Pesa il doppio rispetto a quando è stato comprato.</span><br />
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">E' l'Inferno di Dante, ed è così: piccolo, maneggevole. Lo riguardo mentre lo sfoglio con gli occhi incastrati all'indietro: vissuto e stremato. Lo credo bene, sorrido tra me, gli si chiedeva anche di fare gli straordinari.</span><br />
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span>
<br />
<div>
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Mentre i giornali ci ammoniscono sul baratro in cui stanno sprofondando i piccoli teatri romani, mi tornano in mente gli infiniti pomeriggi del mio periodo liceale. Trascorsi nei teatri romani che per poche lire regalavano spettacoli sperimentali. Teatri piccoli, piccolissimi, innovativi, dai linguaggi a tratti incomprensibili, sempre affascinanti. Sale fredde, parrocchiali o municipali. Oppure importanti. </span><br />
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Accarezzo il volume, mi fermo sul Quinto Canto. </span><br />
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">E vado indietro nel tempo, a più di venti anni fa. Stagione teatrale dell'Argentina. Qui ogni lunedì pomeriggio le letture della Commedia di Dante facevano il tutto esaurito. </span><br />
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Anche quello, di spettacolo era gratis. </span><a name='more'></a><br />
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"></span><br />
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span>
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Il pomeriggio in cui Gassman padre lesse il primo canto dell'Inferno non si poteva respirare. In fila, in piedi, lungo i corridoi laterali, ammassati nei palchetti non c'erano solo pensionati (liberi il pomeriggio alle cinque) o signore impellicciate. C'erano studenti, compagnie di teatro, studenti di arte drammatica, poeti. C'era una fetta di città che decideva di uscire prima dal lavoro, dall'università, da casa, da dovunque per ascoltare, di lunedì pomeriggio, la lettura della Divina Commedia. </span><br />
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span>
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Si sa che in Cina c'è il doping genetico: modificare alla radice la natura di un possibile atleta in modo da renderlo funzionale all'obiettivo. E infatti i risultati sono evidenti: piccole atlete magrissime e fragili che portano a casa vittorie di cartone in cambio di una vita distrutta. </span><br />
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Chi oggi sta manomettendo alla radice il dna di questa città che ha in sé una teatralità innata, sorniona e indolente sappia che sì, è a buon punto. Il suo lavoro procede indisturbato, pare, nel lassismo più totale del senso del decoro. Interrotto, di tanto in tanto, solo da qualche singulto che fuoriesce dalle pieghe del controllo: il Teatro dell'Opera che se è vero che è un concentrato di contraddizioni (tra privilegi denunciati eppur un tempo concessi), è anche vero che si è visto arrivare addosso le lettere di licenziamento per gli orchestrali: perché? Il Teatro Valle, che si è autorigenerato come Fondazione per scampare al pericolo di morte certa sotto le spoglie di un fast food; il Cinema America, che ha lottato con le unghie e con i denti.... Per il resto, a macchia di leopardo ma scientificamente, la cultura di questa città sta venendo meno, risucchiata da un'idrovora con molte teste e senza un cervello. </span><br />
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span>
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">E mentre a Madrid continua a esistere indisturbato <i>el dia del espectator, </i>il giorno dello spettatore, (ogni mercoledì il biglietto di qualsiasi spettacolo teatrale, cinematografico, di ballo, etc....si paga la metà come incentivo alla fruizione dell'arte), a Edimburgo vivono affollate oltre trecentoventi sale sinfoniche; a Vienna si va con la famiglia a sentire la musica dopo il lavoro, qui da noi il Fus (Fondo unico per lo spettacolo) per il 2014 destina a tutta la prosa d'Italia 64 milioni di euro. Ma con le nuove norme ministeriali si cancella, questa è la sintesi, l'aiuto alle sale con meno di 250 posti. </span><br />
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Praticamente tutte quelle che sono in sé una fucina di sperimentazione irregolare. I luoghi in cui non transitano le idee e i nomi già noti, ma dove si allenano quelli che lo diventeranno. Ad esempio il Teatro Lo Spazio, il Tordinona, il TeatroDue, il Teatro Belli, dove per altro si sta aprendo anche un'interessantissima produzione bilingue per bambini: come dire, dove non arriva la scuola...</span><br />
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">La grande bellezza al confronto ci fa un baffo, la decadenza è tutta nelle decisioni e nell'abbandono ragionato e studiato. </span><br />
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">E poco importa se in ballo ci sono mestieri, professioni, lavori e laboratori di creatività che rischiano di essere spazzati via. Chi ha occhi per vedere, osservi che i bassifondi esposti a Villa Medici si rischierà a breve di non dover andare tanto lontano nel tempo, per ritrovarli. Azzerare, annientare, avvilire. Deturpare, eccolo il diktat. Abbrutire. Prima una città e poi un Paese. E' questo l'obiettivo di chi (intenzionalmente?) sta gettando nel baratro tutti i piccoli grandi luoghi di cultura della capitale. </span><br />
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Spazi come il teatro Tirso de Molina che lotta da solo, senza fondi esterni e con l'unico sforzo degli abbonati per far sopravvivere la tradizione della romanità. </span><br />
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span>
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Torno indietro con la mente. Alla fine della lettura del canto da parte di Gassman mi misi in fila per salutare il grande attore. Quando lo ebbi davanti, ancora commossa dalla rappresentazione, non ressi all'emozione. E lo guardai senza dire una parola. Fu lui, Gassman, a togliermi di mano il volume dell'Inferno, ad aprirlo e a scriverci sopra una dedica che conservo tra i ricordi più importanti, senza mai essere riuscita a rispettare l'invito che riportava. </span><br />
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">"Non piangere e non ridere, fermati sul giusto equilibrio". Sorrido mentre rileggo quelle parole fissate da una calligrafia sicura. E penso che quel ricordo è frutto di un'emozione nata dentro a un teatro, in un pomeriggio dei tempi del liceo, davanti a un grande attore che dopo il debutto teatrale a Milano, arrivò a Roma. E qui, a 21 anni, calcò - primo teatro romano della sua carriera - le tavole dell'Eliseo, che oggi è sotto minaccia di sfratto. </span></div>
Chiara Licohttp://www.blogger.com/profile/05765929314785063157noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-432065510953806107.post-68125424599914073952014-09-16T00:07:00.003+01:002014-10-05T15:27:55.131+01:00 FAME vs PAURA. E PERDONO TUTTI<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Le morti non sono tutte uguali. Quella di Mustafa e Aydil, uccisi a trentotto e ventisei anni dal loro ex datore di lavoro che ha raccontato di averli visti entrare in casa sua con un piccone in mano, mentre andavano a chiedere stipendi arretrati e liquidazione, è una tragedia figlia del tempo della crisi.</span><br />
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Chi è chiamato a raccontare fatti ogni giorno ha l'obbligo di riconoscere da lontano il peso di una storia come quella dei due kosovari che in Italia hanno trovato un lavoro mai retribuito e una morte violenta.</span><br />
<a name='more'></a><br />
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">I due giovani morti ammazzati a Fermo perché, esasperati, inascoltati, non aiutati, erano andati a riprendersi quel che spettava loro non sono protagonisti di una tragedia inferiore a quella di tanti disperati che sbarcano quasi cadaveri sulle nostre coste sempre più respingenti. <i>All'aria vanno i cenci</i>, chiosava tristemente Giovanni Verga nella novella <i>Libertà</i>. Chi ci rimette sono i deboli, sono loro che perdono sempre. Stracci al vento, finiscono così quelli che si espongono senza avere tutele. Si parlerà di legittima difesa, nell'aria già si sente quest'odore. I giudici stabiliranno se sarà giusto così. Mi chi è che doveva legittimamente difendere i due lavoratori feriti nella loro dignità?</span><br />
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Dov'è lo Stato?, in questo paese che sta cominciando a farsi giustizia da sé. </span><br />
<div>
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Dov'è lo Stato?, se la situazione lavorativa dei due ragazzi era nota sia ai sindacati, sia la camera di lavoro territoriale di Fermo. Tutti sanno, eppure dei soldi neanche l'ombra. </span></div>
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Mustafa è morto subito, Aydil lo hanno trovato agonizzante 150 metri più in là, in mezzo a un campo di girasoli. Ha fatto in tempo ad arrivare in ospedale e morire lì.</span><br />
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Eppure chi scrive ha in questa analisi più che mai il dovere di non derubricare nessun aspetto: non siamo di fronte a un assalto alle ville né - per contro - chi ha ucciso non è un pazzo che ha preso in ostaggio due passanti. Questa è una storia diversa, che deve fare da apripista a un filone che è quello dei drammi originati da un imbarbarimento latente, progressivo e inesorabile.</span><br />
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Le tragedie figlie dei tempi bui hanno più volti e, come in questo caso, un epilogo doppio e tragico: tre vite interrotte. Quelle di chi ha subìto e tanto atteso fino a prendere decisioni sbagliate; e la terza - di un uomo sopravvissuto - che però proseguirà nella disperazione. Cominciata forse proprio dal calo delle commesse e senza uno Stato a fare da ammortizzatore. </span><br />
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Restano l'uomo e la paura. Cioè resta l'uomo nudo, indifeso, senza appigli, senza ancore di salvezza. Chi prova la paura, quella vera, fa ritorno agli albori della natura, e non è diverso da chi - affamato - brandisce un piccone per riavere i propri soldi. E' la fame contro la paura. E' la fine. E' il ritorno all'ominide, non all'uomo.</span><br />
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Solo una via di salvezza c'è di fronte a un baratro di queste dimensioni: uno stato di diritto che dia la bussola e faccia orientare chi non sa più a che santo appellarsi.</span><br />
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Interpellato dal suo discepolo, il Galileo di Brecht risponde ad Andrea di aver abiurato per la paura del dolore fisico. E nel dare questa risposta annuncia la sua piccolezza e si arrende (ominide). Ma un secondo dopo è grande perché si è messo a nudo (coraggio delle azioni). E perché ha chi lo ascolta (Andrea è lo Stato, che lo giudica, lo ridimensiona e lo assolve).</span><br />
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Ma lo Stato serve. E serve adesso. Perché ai tempi della crisi, peggiori delle tragedie partorite dalla paura, sono solo quelle figlie della povertà che sfiora la fame. E in queste storie, come in quella di Fermo, a perdere sono tutti. Indistintamente. </span><br />
<br />Chiara Licohttp://www.blogger.com/profile/05765929314785063157noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-432065510953806107.post-70793846103540411162014-08-28T10:53:00.000+01:002014-10-04T15:13:57.737+01:00IO TWITTO, TU ZITTO<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">C'era una volta, tanto tempo fa "Lo dice l'Ansa".</span><br />
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Nelle redazioni dei giornali, al solo pronunciare questa liquidità sonora, quindi dolce, il viso di chi ascoltava si distendeva, gli occhi prendevano una luce diversa, la pelle si irrorava di un chiarore luminoso. Meglio di una crema da viso giorno/notte da 200 euro al Duty Free: "Lo dice l'Ansa".</span><br />
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">L'effetto rigenerante era garantito anche dal più semplice e trivialotto "E' uscita l'Ansa". Le toglievi la parola, sì, ma vuoi mettere il significato recondito dell'uscita, del parto, della genesi: l'Ansa che usciva sull'argomento trattato era il numero del lotto che ti portavi a casa trionfante. Tu, giornalista. Che eri pure alla moda, nel tuo genere.</span><a name='more'></a><span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span><br />
<div>
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Tu, giornalista. Che se eri scarso, restavi davanti a una tastiera in attesa di associare la tua firma all'Ansa-pensiero. Ma che se eri capace ti facevi venire un infarto al telefono con chi - sapendoti sul posto a verificare un fatto - ti chiedeva se eri sicuro di quel che vedevi, Sai...l'Ansa ancora non è stata battuta... </span></div>
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Oggi, chi sei, tu che aspetti l'Ansa? Minimo minimo il nonno del tuo collega che con il retino acchiappa al volo il twitt. Sei carta da parati di stoffa in confronto al bianco delle pareti di quelli à la page: quelli che non fanno i buchi perché i quadri li appoggiano per terra. Sei così, tu: modernariato della dichiarazione attesa. </span><span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span>
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Lo so che adesso, arrabbiato, chiederai: Se la dichiarazione la si riprende dall'Ansa o da un twitt, che cosa cambia?</span><br />
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">A occhio e croce, la differenza è la stessa che intercorre tra chi parla a una persona che, se vuole, può anche fare una domanda, per capire meglio o per saperne di più, e chi - affacciandosi a una finestra - impone la sua sapendo nessuno obietterà.</span><br />
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Io twitto e tu zitto, insomma. </span><br />
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Eccolo lo slogan dei tempi moderni, io cinguetto e tu ascolti. Io dico e tu scrivi. Io voglio e tu fai. </span><span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Non c'è l'ordine, non esiste l'imposizione: c'è il cinguettio. </span><span style="font-family: Verdana, sans-serif;">E' o</span><span style="font-family: Verdana, sans-serif;">bbedienza, ma è dolce. </span><br />
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Come la morte, a ben pensarci. </span><br />
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span>
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Sul fatto poi che l'auspicio al silenzio totale collettivo </span><span style="font-family: Verdana, sans-serif;">nel nostro Paese corrisponda a una certezza assoluta e garantita, beh, questo potrebbe essere frutto non dico di un documentario perché nessuno lo finanzierebbe, ma di un'interessante - quanto lunga - seduta psicanalitica nazionale, questo sì.</span><br />
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span>
Chiara Licohttp://www.blogger.com/profile/05765929314785063157noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-432065510953806107.post-77019149526149568372014-08-25T14:20:00.002+01:002014-10-04T15:15:17.323+01:00UNA PENTOLA DI FELICITA'<div style="margin: 0cm;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Mattina di una giornata qualsiasi, qualche giorno fa. Nella
testa ancora l’enfasi di ore piacevoli trascorse in chiacchiera pura con un
amico: Karoo di Steve Tesich, la sua anima doppia; la musica su dodici note e
come venne rifiutata all’inizio; il nostro comune amore per Mozart e la sua
tensione continua. Sicché il buon umore c’è. Infilarsi nella prima libreria che
si trova è un dovere. Per il proprio benessere, perlomeno. Ma soprattutto per
non dico cancellare, ma alleggerire sì, il ricordo dell'incubo del giorno
precedente, quando dentro a una libreria (un'altra), ero rovinosamente finita
contro un megapentolone gigante che troneggiava nel reparto libri per cucina,
ricette e affini. Intorno alla mega casseruola, a protezione, balde posate in
silicone antiaderente erano cromaticamente abbinate a stampini per muffins,
anche loro antiaderenti.<br />Detto fatto. Mi getto a
capofitto nella Spa dell'anima. Incrocio le dita. E in effetti.</span><a name='more'></a><span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br />Intorno a me dorsi
accatastati, ultime novità, chi entra, chi esce, chi fruga, chi legge al volo.
Anche io mi getto nella mischia: curiosare, curiosare, curiosare.<br />E tutto va bene, fino a
quando.</span><span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br />Fino a quando, al piano
di sotto, mi fermo davanti a uno scaffale. Scannerizzo i titoli e sto per
allontanarmi, quando mi accorgo che non è possibile. Avverto qualcosa di
anomalo. Mi pianto davanti allo scaffale e guardo, riguardo, osservo.<br /><i>La felicità in tasca, Lo
psichiatra nel cassetto, L'arte di andare avanti, Riparto da me, Amore senza
bugie, La vita che vuoi, La felicità è dentro di te, Impara a essere
felice... </i>Homo (in)felix è il tuo
momento, sghignazzo: Il tuo vademecum è pronto. Ne hai uno al giorno.
Sapientemente esposte una accanto all'altra, le sentinelle dei nostri giorni
migliori sono lì a farci da breviario. Mi guardo intorno. Ci siamo solo io
e un signore che (credo) non vede l'ora che io mi sposti.<br />Mi sposto.<br />C'è qualcosa che mi
frulla nella testa, devo mettere a fuoco.<br />La chiacchierata di
qualche ora prima, già. Mica solo libri e film, ora che ci penso.<br />Anche un bel po' di
minuti, io e il mio amico, a fissare insieme il grafico pubblicato dal Corriere
della Sera sulla percezione ridotta che gli italiani hanno del loro benessere.
In sintesi: invitato a parlare di soldi e di reddito, un americano dà l'impressione
di una persona benestante. Un europeo, viceversa, dà l'idea di essere
precipitato in disgrazia. False entrambe le percezioni perché in realtà gli
europei stanno meglio di quanto credono e gli americani non così bene come
pensano. Quest'ultimo concetto è chiaramente espresso in uno studio
dell'istituto tedesco IW. L'autrice dello studio si chiama <span style="color: #333333;">Judith Niehues e
sottolinea come il tema sia fondamentale in un periodo in cui la
redistribuzione delle ricchezze "attraverso la leva fiscale è presente nel
dibattito politico dei Paesi occidentali" e conclude che è "<span style="background: white;">la ricchezza (o la povertà) percepita, non quella
reale, a influire sulle scelte politiche dei cittadini".</span></span><span style="background-color: white; color: #333333;">Mi
riavvicino allo scaffale, i libri per garantirci felicità sono lì in bella
mostra. </span>Certo,
penso, stiamo messi proprio male se ci vediamo costretti a curarci il morale
con coccole rilegate. In effetti il periodo storico non è dei migliori, questo
non si può negare. Certo, però, il baratro deve essere davvero profondo se
gli editori investono così tanto su testi di auto- (ri)sollevamento morale in
un paese che non legge.<br /><span style="background-color: white;">Mi
sforzo di ricordarmi lo </span><span style="color: #333333;">studio di Iw: dunque le posizioni dei cittadini in materia di
ineguaglianza economica non sarebbero fondate su dati reali ma sulla percezione
di essa. </span><span style="color: #333333;">E gli italiani in
tutto questo? Il 73% di loro è pessimista, alle porte vede la catastrofe.
Immaginano una piramide <span style="background: white;">con in cima i
ricchi, pochi; al centro una classe media non troppo estesa e una base molto
larga di persone povere. </span>Gli americani, invece, sono positivi. Cioè
guardano al futuro con ottimismo, ovvero tengono desto il sogno americano.
Significa che credono nei principi che li hanno sempre sostenuti. Ergo, credono
in loro stessi. </span><span style="color: #333333;">Si chiama autostima,
penso. E quella degli italiani ha fatto la cura dimagrante. Cerco di capire se
tra i vari testi a disposizione c'è anche un breviario per recuperarla, ma
niente da fare. </span><span style="color: #333333;">All'improvviso, non so
perché, mi sorge un pensiero cattivo. Sbircio di sottecchi la sfilata dei
manuali per essere felici. Sembra il parto di un ordine di scuderia,
penso. </span>Tengo
testa alla loro carica emotiva, mi sento le guance infuocate: almeno un tempo i
consigli erano quelli per gli acquisti... Ma quelli erano bei tempi, allora si
era felici. Adesso no, siamo allo stadio precedente: non più quello della
soddisfazione (l'acquisto) ma quello del bisogno (la felicità). Abbiamo urgenza
di suggerimenti per vivere. Anzi, per sopravvivere.<span class="apple-converted-space"> </span><br />
Sorrido tra me, capisco. Sospiro.<br />Povero quel popolo che
ci crede e crea, edifica, legifera, produce. Illuso. E' giusto invece
ricordarci ogni giorno che stiamo male e che può andare peggio per veder
garantita una certa tranquillità. In effetti con ottanta euro siamo tutti
più contenti, si vede. Le briciole dei dolci anticipano il paradiso che verrà
nell'affondare il morso. E soprattutto ci ricordano che si tratta di una pausa
felice in un momento di dolore condiviso.<br />Giusto. <br />Adesso che ho capito,
decido di andarmene, ma in quel momento preciso il mio sguardo viene attirato
da un saggio. Se ne stava lì, zitto e immobile tra i manuali per la felicità.
Mezzo nascosto, come ho fatto a intercettarlo?<br />Decido di ignorarlo.
Ormai sono sollevata, non voglio fare confusione.<br />Anche perché già ho
cominciato a chiedermi quanto davvero frutta questa forma di annichilimento
dell'ego altrui, quanto convenga abbassare l'asticella, quanto produca -
in termini di profitto - deprezzare il valore altrui. Così non va bene, mi
rimprovero, Sempre la solita complottista.<br />Mentre mi avvio
all'uscita, sento una strana insofferenza che dalle gambe mi risale allo
stomaco: mi rivedo nell'altra libreria, la pentola gigante davanti agli occhi.
Nella sua pacchianeria infinita mi appare meravigliosa, cicciona, esuberante,
invadente. Sincera. Neanche lontanamente induce al retropensiero dei libri
come cibo per l'anima. Non ci pensa proprio: la pentola sta lì per essere
venduta, se possibile anche senza sconto e meglio ancora insieme a pennelli e
posate fosforescenti. Soprattutto, dice la verità: il bussiness è bussiness. In
libreria, come da altre parti. Chi decide di vendere felicità o chi decide
di farla diventare merce rara non è meno venditore di pentole di un
venditore di pentole. Anche se il mercato è in libreria, tra vicini di scaffale
illustri.<br />Sono quasi fuori, anzi
sono per strada ma all'ultimo momento utile qualcosa nella mia testa fa
clic e io, dietrofront: mi precipito al piano inferiore della libreria. Sullo
scaffale - eden, c'è il testo che mi aveva<span class="apple-converted-space"> </span><i>chiamato</i>.
Lo prendo, lo compro e me lo porto via.<br /><i>Breve storia della
menzogna</i>,
si intitola.<br />E' filosofia e non credo
che tra i suoi obiettivi ci sia principalmente quello di far star bene. Eppure
mentre aspetto l'autobus mi sento felice. E lo sono. E se non fosse che da dove mi trovo </span><span style="font-family: Verdana, sans-serif;"> </span><span style="font-family: Verdana, sans-serif;">la distanza </span><span style="font-family: Verdana, sans-serif;">è troppa e che con i mezzi non saprei dove metterlo,
farei anche un salto a comprare il pentolone. </span><br />
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><o:p></o:p></span><br /></div>
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<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><o:p></o:p></span><br /></div>
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<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><o:p></o:p></span><br /></div>
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<br />
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
Chiara Licohttp://www.blogger.com/profile/05765929314785063157noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-432065510953806107.post-76078514357802946662014-07-27T16:01:00.000+01:002014-10-04T15:16:08.991+01:00QUANDO NULLA SUCCEDE PER CASO<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: 0pt;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Può
succedere, a volte, di conoscere delle persone. E di scoprire, poi, che non le
si è conosciute a caso. Che tutto è regolato, se non dominato, da un ritmo
scandito da fatti indipendenti, apparentemente dislocati in un ordine spazio
temporale che solo nel tempo delinea i suoi connotati in modo comprensibile.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: 0pt;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><i>Sincronicità</i>,
le chiama Robert Hopcke in <i>Nulla succede per caso</i>, un lavoro
importante con un sottotitolo che è tutto un programma, se non – addirittura –
il contenuto del testo stesso: <i>Le coincidenze che cambiano la nostra
vita.</i><o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: 0pt;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Scrittore,
giornalista, conoscitore e studioso dell’animo umano, Hopcke aiuta ad
analizzare – decodificandoli – i nessi che collegano gli avvenimenti di ogni
esistenza. Una lettura apparentemente divulgativa, in realtà al limite del
filosofico se vero che alla fine gli strumenti che si ottengono sono
quelli dell’interpretazione dei fatti attuali e in proiezione, l’analisi di
quelli che verranno (o che sarebbero venuti dopo, se si guarda al passato). Le
sliding doors, insomma. Sì, in un certo senso.</span><a name='more'></a><span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><o:p></o:p></span><br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: 0pt;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Poi,
succede che a volte si ha più tempo per far sedimentare incontri, conoscenze,
conversazioni assorbite. E che in un’ottica che è quella di Hopcke si analizzi
quel che accade nella propria vita o intorno a sé con un occhio diverso. In
altre parole, che si considerino i nessi. O, quelle che la grandissima
Montessori definiva le relazioni. Individuarle, significa comprendere davvero.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: 0pt;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">E
così colpisce che proprio nel giorno in cui i giornali raccontano lo scempio
dell’Ilva (con il governo che si dimentica le bonifiche - che almeno
porterebbero occupazione ma di sicuro garantirebbero la salute - e il
disarmante oltraggio alla guerra dei fuochi, con una popolazione annientata da
interessi e logiche terze, alla quale neanche una visita di Papa Francesco
riesce a riportare la speranza, ci si ritrovi a riflettere di un
altro testo, importante quanto relegato al settore degli addetti ai
lavori: <i>La comunicazione ecologica</i>, di Jerome Liss.</span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Un saggio con dentro i fumetti, un saggio per immagini
ed emozioni linguistiche. Val la pena banalizzare pur di
avvicinare a una lettura che scardinando e rovesciando l’ottica uomo
– ambiente, mostra l’applicazione dei principi ecologici alle relazioni umane.
Cioè, “coltivare le risorse di ogni persona, rispettare la diversità
e nello stesso tempo mantenere una coesione globale in modo che le persone
possano agire insieme per un obiettivo che è quello della
comunità”. Lo sforzo di Liss è trovare equilibrio tra bisogni
individuali e crescita della totalità. Tutto, con alla base un presupposto
fondamentale, che è quello della comunicazione democratica.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">È interessante rileggere l’attualità nell’ottica
delineata dall’autore, rivedere come non solo la comunicazione (soprattutto
quella ecologica) sia venuta meno in una società che condanna a morte i suoi
cittadini, ma soprattutto in cui la logica rovesciata dell’interesse
individualista e malavitoso, rischi di portare una contaminazione della qualità
dell’uomo stesso.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Che società è, viene da chiedersi, quella che vede
l’uomo peggiorare da qualsiasi angolazione lo si guardi: da un punto di vista
naturale: l’uomo <i>diminuisce</i> per il fatto stesso di non vivere
nel bene, nel sano; e, soprattutto, da un punto di vista di valori: se non ci
si occupa né cura di educare all’ecologico inteso come bello – anche attraverso
la fatica del dialogo - la natura ci si rivolgerà contro. Per ogni
abbrutimento che apportiamo, potrebbe aspettarci un malanno derivato dal
peggioramento dell’ambiente.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Interessante in questo senso l’idea di un progetto da
condividere nello sviluppo di obiettivi individuali rivolti a una collettività.
E quanto mai adatta ai giorni nostri l’idea di partenza: in un contesto
collettivo chi decide può organizzare il meglio solo ascoltando le proposte dei
gruppi base.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Si chiamano decisioni comuni, ma hanno un solo
significato: evoluzione. <o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Il pensiero torna al quotidiano: nei luoghi
d’Italia massacrati dagli interessi in nome di vantaggi e tornaconti personali,
in pochi hanno deciso per tanti, se non per tutti. Pensiamo a Taranto, a
Brindisi, alla Campania incendiata. E poi alla Calabria, alla
Liguria. È mancata la condivisione, l’ascolto, il confronto. È
mancata – e manca – l’evoluzione. <o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="background: white; line-height: 15pt; margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Eppure, proprio in natura, come in pochi altri
elementi, tutto è così strettamente collegato, ogni aspetto così organicamente
sincronico: i conti che tornano, sempre.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="background: white; line-height: 15pt; margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Il 30 aprile 2014 a 88 anni è morto Emilio Riva,
magnate dell’acciaio. Il suo nome, dagli anni Novanta in poi, è collegato all’Ilva
e alla <span style="color: #222222; mso-bidi-font-family: "Times New Roman"; mso-bidi-font-size: 12.0pt; mso-fareast-font-family: "Times New Roman"; mso-fareast-language: IT;">bufera giudiziaria sui danni ambientali
dell'acciaieria più grande d'Europa.</span><o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="background: white; line-height: 15pt; margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><span style="color: #222222; mso-bidi-font-family: "Times New Roman"; mso-bidi-font-size: 12.0pt; mso-fareast-font-family: "Times New Roman"; mso-fareast-language: IT;">Il giorno successivo i giornali e tutti gli
stabilimenti italiani ricordavano però un altro uomo. </span>Roberto
Mancini, poliziotto che tra i primi indagò sui veleni e sui traffici illegali
della terra dei fuochi. La sua denuncia gli costò il prezzo altissimo della
leucemia che gli fu fatale. Oggi è il simbolo della lotta all'inquinamento
ambientale.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="background: white; line-height: 15pt; margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">E’ morto anche lui il 30 aprile 2014.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: 0pt; text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Sincronicità. E, forse, molto altro. <o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: 0pt;">
</div>
<div class="MsoNormal">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span></div>
<div class="MsoNormal">
</div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
Chiara Licohttp://www.blogger.com/profile/05765929314785063157noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-432065510953806107.post-69680234619972937282014-05-15T17:54:00.001+01:002014-08-28T00:10:52.710+01:00MARINA, AS WE WERE<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Nel giorno in cui l'ultima tragedia del mare restituisce non solo l'orrore di un dramma che continua a ripetersi, uguale a se stesso, ma anche le immagini che danno volto e corpo a dodici donne, tre bambini e due uomini morti per aver voluto un futuro migliore, sfilano davanti agli occhi le immagini di un film - nelle sale in questi giorni - che, ironia della sorte, nel titolo esprime il suono del mare, nella storia che racconta racchiude tutto quel che serve per vivere: la speranza e il sogno e nella sostanza è un tornado di riflessioni che non dovrebbe farci dormire. </span><br />
<a name='more'></a><br />
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><i>Marina </i>sta passando sotto sordina pur avendo avuto riconoscimenti e critiche positive. </span><br />
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Eppure è uno di quei film che andrebbero proiettati nelle scuole. Non solo per farci sapere chi siamo oggi, sembra paradossale, quanto per renderci noto come eravamo allora. Soprattutto, come eravamo considerati. </span><br />
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">La storia, basata sulla biografia di Rocco Granata, è quella dell'Italia che dal sud emigrava in Belgio. Che lasciava il sole, il pecorino, la casa di mattoni e le radici, per andare a guadagnarsi da vivere sotto terra, scavando miniere e ammalandosi. Con l'impegno (uguale a quello di tutti coloro che se ne vanno dalla loro terra), un giorno, di far ritorno in condizioni migliori. Più spesso, con la disillusione di dover farsi raggiungere dal resto della famiglia.<br />Erano gli anni in cui a essere gli immigrati eravamo noi. Emarginati, derisi, messi da parte, schifati. Erano gli anni in cui i cani da lasciar fuori dai negozi eravamo noi, gli italiani. Uomini e donne che abbandonavano tutto pur di star meglio. E poco importa se questo meglio significava umiliazione. Quel che c'era qui da noi era peggiore. Peggiore del buio della miniera, del catarro insidioso regalato dagli scavi insieme al pane, dell'impossibilità di farsi vedere dignitoso da un figlio. </span><br />
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">"Qui non siamo in Italia", dice con scherno e provocazione un cittadino belga a Granata padre (Lo Cascio) che sulla terra fuori da casa si sta costruendo un orticello: "Qui quello che non si può fare non si fa. Se non ti sta bene vattene". </span><br />
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">E' uno spaccato di mondo e di tempo che racconta l'Italia contadina e preindustriale, povera e neanche bella che atterra nel futuro di un mondo che la respinge. E che se la accoglie, è solo per destinarle i lavori più scarsi, quelli che nessuno vuole fare. Ci ricorda qualcosa? E' una fotografia di dolore e di vergogna che ci vede indossare tutti e due i panni: quelli dei poveracci in cerca di vita e quella dei padroni con il bastone in mano. Quelli che stabiliscono che i figli dei minatori dovranno fare i minatori e così sia. </span><br />
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">E così siamo oggi noi. </span><br />
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Come se l'odio e il rancore accumulato negli anni in cui ad approdare su spiagge che non ci desideravano eravamo noi, ci avesse fatto dimenticare che cosa significa essere emarginati. Peggio. Come se questo odio, si fosse accumulato dentro di noi fino a creare una montagna dalla quale lentamente e crudelmente, come un vulcano che non si stanca, lo stiamo piano piano ricacciando all'esterno. </span><br />
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Sarebbe utile che chi oggi usa il potere come una sciabola, sfruttando le persone come mezzo di pressione politica veda questo film. E lo capisca. Poi, magari non a voce alta, rifletta sulle tante esternazioni strumentali di questo periodo pre-elettorale. Provando, se si può, a immaginare che cosa sarebbe stato di molti dei nostri predecessori se una volta deciso di emigrare, dopo la guerra, avessero trovato - una volta a destinazione - un passaporto pronto per trasferirli in altri lidi.</span><br />
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">E poi. </span><br />
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">E poi c'è un altro aspetto. <i>Marina </i>non è (solo) un film sugli italiani che emigravano, sui loro dolori e sulle loro speranze. E non è neanche la storia romanzata di un ragazzo che amava la musica e che ha coronato il suo sogno. Che fosse qualcosa di serio già di capiva dall'impegno dei Dardenne. <i>Marina </i>è a tutti gli effetti una riflessione spietata sui belgi e sulla loro piccolezza di vedute di quel periodo. Un serio e crudele esame a raggi x che permette a tutti, belgi e no, di isolare un male endemico che si chiama razzismo. Di guardare in faccia la realtà, ma non di nascosto, in silenzio e in disparte, no.</span><br />
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Di guardarla e di farla vedere a tutti. I belgi hanno avuto il coraggio di farsi guardare dietro e di farsi anche criticare. </span><br />
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">La domanda è: gli italiani lo realizzeranno mai un film come questo? Raccontando la percezione della migrazione che hanno oggi e ammettendo, una volta per tutte, che questo stivale, da nord a sud è serpeggiato da un razzismo strisciante?</span><br />
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Speriamo di sì. L'arte è l'unico rimedio salvifico per l'attualità. </span><br />
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">E se non potrà esserlo per quella che viviamo, pensiamo almeno a quella che vivranno i nostri figli. </span>Chiara Licohttp://www.blogger.com/profile/05765929314785063157noreply@blogger.com1tag:blogger.com,1999:blog-432065510953806107.post-29407978229206561882014-05-04T09:47:00.005+01:002014-05-15T18:02:23.944+01:00ROMA, LA SFOGLIATA E LA BASTIGLIA<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">La sfogliatella te la devi mangiare.</span><br />
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">No, grazie.</span><br />
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Sì.</span><br />
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Si allontana, da un vassoio poggiato su un paio di scatoloni prende una sfogliatella. Mi guarda, la spezza e me ne dà metà.
Tie’, mi dice. La prendo. E mangia, aggiunge, Che porta bene. Lo guardo, la mangio.</span><br />
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">E oggi penso che tanto bene non ha portato.</span><br />
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">3 maggio 2014. Sono quasi le quattro quando via Flaminia comincia a riempirsi di pullman, macchine con striscioni, camioncini di bibite, dolci e crackers che verranno venduti fino a notte fonda in carrettini improvvisati con tanto di luce al neon che illumina bacinelle cariche di mezzi litri di acqua fuori dal Gran Teatro. Napoli a Roma è una serie di striscioni improvvisati e enfasi che parte con largo anticipo.
Sono dodici, li incontro a ridosso del grande parcheggio di scambio che raccoglie i pendolari del nord del Lazio che confluiscono a Roma.</span><br />
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Sono radunati fuori da un piccolo camper, un profilato che più ci penso e più mi chiedo come facevano a starci in così tanti. Hanno appena finito un barbecue. Qui? Eh.</span><br />
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Sciarpe e magliette celesti, tatuaggi di Maradona, corni portafortuna: c’è tutto quello che ci deve essere.
Siamo partiti ieri sera.</span><br />
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Sei la giornalista? Confesso subito, Sono io.
Allora domani nel servizio dici che ci hai conosciuto.
Tendo ad escluderlo, voglio essere sincera fino alla fine.
E allora che dici? Mettiamola così, tratto: Speriamo di poter dire che il Napoli ha vinto.</span><br />
<a name='more'></a><br />
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Un clacson che viene da via Barendson ci interrompe. C’hai fame? Si accavallano l’un l’altro, nel parlare.</span><br />
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">No, grazie, Ho mangiato da poco. Qui ci sono le sfogliatelle. No, no.
Juve merda, grida qualcuno da dietro al camper. E parte un coro Chi non salta… Ma che c’entra?, chiedo. C’entra sempre, mi risponde un ragazzo che mi da del voi. Mi rivedo nei suoi occhiali a specchio e mi viene da ridere.</span><br />
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Non lo so che cosa ci faccio lì in mezzo ma c’è cuore e si sente in quest’Italia dietro alle quinte.
Facciamoci una foto. Ve la faccio io. E tu? Io no. Facci entrare il camper, quello pure è uno di noi. Conto fino a tre e scatto.</span><br />
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Quasi nove ore dopo ripasso in quello stesso punto. C’è il caos di un dopo concerto e una lentezza strana nei passi di chi va verso le macchine. Le sciarpe al collo non sanno di festa e i carretti con le luci al neon in mezzo attraversano la strada come si fa in Marocco, senza guardare e senza fermarsi. Roma città assediata ha reso le armi un’altra volta. Con la politica e le istituzioni che non sanno dove guardare, fermi sugli spalti, inebetiti e inconsapevoli che la miccia esplosiva che cova sotto alle ceneri del malcontento urbano e sociale esplode senza preavviso.
Un anno l’agguato incontrollato è a piazza Colonna, l’anno dopo fuori dallo stadio.
Ci sarebbe tanto da dire sui volti fotografati della classe dirigente. “Presi in contropiede” sembra l’espressione più adatta al contesto. Disarmati è la più indicata.</span><br />
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Mi torna in mente il titolo di un libro che ho visto di recente in libreria "Guardati dalla mia fame", sulla doppia rilettura (e riscrittura) di un fatto specifico e grave. Come dire che c’è sempre una seconda verità. E realizzo che i fatti di Roma a quaranta minuti dall’inizio della finale di Coppa Italia all’Olimpico sono un tifoso ferito e gravissimo, un arresto per tentato omicidio. E molto di più.</span><br />
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Osservo le foto, sia quelle che girano adesso - il capotifoseria Genny che sa che cosa vuole e stabilisce il da farsi, il premier incredulo e indeciso, tifosi e polizia divisi da un guardrail - e quella che conservo sul mio cellulare. Sono due Italie che non comunicano, una che ci crede ancora. E una che ha dato tutto per perso. Una che ha la forza di imbarcarsi e il cuore di comprare anche i dolci per festeggiare in anticipo, e l’altra che si arma contro un nemico che non si sa più chi sia. Purché ci sia. </span><br />
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">In mezzo resta una città oltraggiata e, ancora una volta, offesa. Indifesa, divisa in due. Senza niente in mano più da poter offrire se non le immagini in giro per il mondo di disordini che ormai la raccontano più del turismo. Panem et circenses, si diceva una volta da queste parti. Adesso neanche più questo. Perché il pane costa (e io ti do al massimo ottanta euro), e il circo – se lo vuoi – te lo fai da solo.</span><br />
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">E infatti.</span><br />
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Solo che adesso c’è un’inversione di rotta, e il circo – sembra di sentire gli affamati – non te lo faccio più nell’arena per farti gustare lo spettacolo. Ma fuori, per fartelo rimporre. E il come lo scelgo io.
E a quel punto neppure una sfogliatella, figuriamoci il pane, può addolcire una vittoria amara.</span><br />
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Questa mattina fuori dal Gran Teatro ci sono i resti di un sabato che doveva essere di calcio. C’è una macchina bruciata e nessun camper in festa.</span><br />
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Se la Bastiglia si avvicina, le facce sono tante: belli e brutti si mescolano. Bisogna guardarsi dalla loro fame, figuriamoci dalla loro rabbia.</span>Chiara Licohttp://www.blogger.com/profile/05765929314785063157noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-432065510953806107.post-31868984093637944652014-04-26T22:27:00.000+01:002014-05-06T14:04:02.987+01:00DACCI OGGI IL NOSTRO PAIS QUOTIDIANO<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Pochi giorni dopo i fatti di aprile che hanno visto Roma bruciare tra disordini incompresi, seguiti da gesti e reazioni di dubbio rigore, a Cervia apriva i battenti e veniva inaugurata una mostra fotografica che come sfondo di anni felici e fruttosi ha proprio la città eterna. Una rassegna che, come hanno voluto i curatori, è un racconto per immagini. A partire dal titolo, <i>Pais del Cinema</i>, gioco di parole che racchiude in sé il nome del fotografo, grandissimo, Rodrigo Pais, e un Paese, il nostro, raccontato negli anni d’oro del cinema italiano.</span><br />
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Incastonati attraverso i passaggi fondamentali della storia d’Italia, bloccati nelle reazioni sensibili del cronista-artista-fotografo che immortala attori, registi e set del sogno inventato dalla letteratura e riprodotto dal cinema.</span><br />
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Un gioco di svelamenti progressivi, dove la realtà è quella che si vede ma la verità che sta dietro è quella che solo il collegamento tra i fatti permette di capire. Una triplice narrazione incastonata in scatti apparentemente indipendenti, in realtà collegati: come nella sezione intitolata <i>Il divorzio in Italia</i>, ad esempio. In cui Pais documenta con le foto la prima manifestazione nazionale a Piazza del Popolo (3 novembre 1966) e parallelamente, attraverso gli scatti realizzati andando sul set di <i>Ménage all’italiana</i>, con Ugo Tognazzi e Romina Power, racconta come l’arte aveva percepito e poi raccontato un passo tanto importante della storia civile italiana.</span><br />
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<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Viene fuori così non solo che l’arte arriva prima, visto che il film è datato 28 ottobre 1965, ma che collegare i fatti significa svelarli, spiegare quello che c’è dietro. Stesso discorso con lo scatto in cui Alberto Sordi e Giulietta Masina sono sul set di <i>Scusi, lei è favorevole o contrario</i>? Era il 7 ottobre 1966. C’è il neorealismo (l’attualità di allora) e c’è quel che l’Italia stava diventando. Con Roma che è una parte per il tutto, contraddizioni comprese: set da passerella e immensa borgata. Ma soprattutto si è invasi dalla riflessione, dalla capacità e dall’intenzione feroce di mettere in relazione gli eventi e decodificarli. Il filo rosso è l’elemento artistico, l’unico intùito in grado di cogliere e scavare.</span><br />
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Succede così che un allestimento di attimi rubati si faccia analisi storica e documento. Vale per le frasi, memorabili, di Pasolini spesso usate come didascalia esplicativa di un modo di percepire il mondo. E vale per le foto che testimoniano le proteste degli autori contro la censura. Intellettuali, registi, scrittori uniti contro l’inasprimento censorio che avrebbe fatto cadere, nel 1960, capolavori come <i>La dolce vita, Rocco e i suoi fratelli</i> e che nel ’62 avrebbe portato all’approvazione della legge 161. Pasolini, Moravia, Mastroianni, tutti immortalati nella loro protesta contro la censura. E’ il cinema, la letteratura, e la fotografia stessa in un unico scatto. Sono le arti che dialogano e che sin intrecciano per dipanare la matassa della comprensione. E che in alcuni casi si crea un gioco di rimandi e di specchi che permette – approfondendo - di capire lo spirito dei tempi. E di far scaturire manifestazioni, se necessario.</span><br />
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Commuovono Nanni Loy ed Elio Petri come saltimbanchi su un camioncino, fotografati mentre incontrano gli operai fuori dalla Fatme, a Roma, per sensibilizzarli “per la difesa delle democrazia e della libertà d’espressione”. Espressioni che oggi a noi suonano vuote, tante volte le abbiamo sentite usare anche a sproposito. Ma che allora testimoniavano una presa di posizione. Assunta in primo piano dagli artisti. Si esce dalla mostra con la consapevolezza che bloccare un momento nel tempo ha senso sempre, purché l'atto sia seguito da un’analisi e si mettano in relazione gli eventi. E si esce dalla mostra con la certezza che a guardarci intorno, in questo momento, qualcosa manchi. E non sono i fatti.</span><br />
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Ci vorrebbe Pasolini, adesso. Ma anche Moravia, Calvino, Loy, Fellini, Sordi e tutti i grandi fermati per sempre negli scatti esposti al Magazzino del Sale. E ci vorrebbe Rodrigo Pais. Il fotografo che ha incastonato nel tempo il boom edilizio, Calvino e il cinema, il caso Fenaroli e che lavorava anche venti ore al giorno per raccontare l’Italia a braccio, intrufolandosi dove non poteva.</span><br />
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Ci vorrebbe Pais adesso. Gli chiederemmo di aiutarci a mettere in relazione qualche scatto recente. Perché in questi giorni distratti dal trionfo della devozione ci sono alcune immagini che continuano a imporsi, prepotenti eppure ostinatamente riposte in secondo piano.</span><br />
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Scavalcate dagli eventi, forse. Ignorate da chi dovrebbe analizzarle. Sicuramente. Eppure ferme, immobili.</span><br />
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Ben piantate nell’immaginario individuale di chi non archivia tuto al volo. Immagini (volutamente?) lasciate senza alcun ragionamento a far da nesso di relazione con i fatti dei nostri tempi. Ad esempio quella del ministro dell’Interno (la mano verso l’alto a sbandierare immagini di disordini incompresi - dietro di lui simboli di partito perfettamente visibili) che minaccia la chiusura del centro storico ai cortei, dopo che una manifestante era stata calpestata da chi è pagato per tutelare i cittadini.</span><br />
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Oppure quella di una sala stampa deserta, in cui un capo del governo, solo uomo al comando, risponde senza interruzioni né contraddittorio a domande invisibili che galleggiano cinguettate nell’etere. Mentre noi altri piano piano perdiamo i sensi, avvolti e intorpiditi dall’aria candida di questi giorni beati che inesorabilmente diventano santi. </span>Chiara Licohttp://www.blogger.com/profile/05765929314785063157noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-432065510953806107.post-63373691586214977742014-04-14T12:53:00.003+01:002014-05-06T14:06:13.712+01:00FACCIAMOCI UNA DOMANDA. ANZI, UN'INTERVISTA<span style="font-family: Verdana,sans-serif;">C’era una volta l’intervista. Grillo parlante che faceva capolino, appollaiato sulla spalla del giornalismo di prima, la sua posizione – forza maggiore – era scomoda. Eccome. </span><br />
<span style="font-family: Verdana,sans-serif;">Che si trattasse di merce rara era intuibile già tanto tanto tempo fa; che fosse materia in via d’estinzione è diventato chiaro nel tempo. Che adesso sia ipotesi di lavoro, è una certezza assoluta. </span><br />
<span style="font-family: Verdana,sans-serif;">Generalizzare non è mai elegante né utile, si sa. Eppure che quel che c’era una volta, adesso non c’è più è un dato di fatto incontrovertibile quanto doloroso. Regola universale. </span><br />
<span style="font-family: Verdana,sans-serif;">Poi, è anche vero che c’era una volta chi le interviste le faceva. </span><br />
<span style="font-family: Verdana,sans-serif;">Ognuno ha i suoi. Di libri sullo scaffale, di romanzi che lo hanno segnato, di volumi che hanno contribuito a renderlo quel che in nuce già era e quel che oggi è. Romanzi, racconti, saggi. </span><br />
<span style="font-family: Verdana,sans-serif;">Molti hanno in casa alcuni dei testi più conosciuti di Oriana Fallaci. Pagine che hanno fatto il percorso e preparato i cambiamenti di questo Paese. </span><br />
<span style="font-family: Verdana,sans-serif;">Alcuni hanno anche <i>Intervista con la Storia.</i>
Ogni giornalista dovrebbe averlo studiato.
Chi <i>Intervista</i> lo ha letto, ha acquisito - con quelle pagine – informazioni, nozioni e conoscenze. Ma soprattutto, a saperli individuare, i rudimenti-gioielli di un tesoro necessario alla professione. </span><br />
<span style="font-family: Verdana,sans-serif;">Di certo non la capacità, quella è un’altra storia. Ma il metodo aveva buone possibilità di filtrare. </span><br />
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<span style="font-family: Verdana,sans-serif;">Nella memoria sarebbero restate vive per sempre le domande incalzanti rivolte ai grandi del mondo, l’irriverenza sfrontata, le mille sigarette accese, fumate, spente, riaccese, rifumate, rispente, che cadenzavano un confronto via l’altro. E sì che gli intervistati non erano persone facili. Ma neanche la penna della Fallaci era comoda. Eppure il lavoro veniva avviato, svolto, concluso e pubblicato. </span><br />
<span style="font-family: Verdana,sans-serif;">Perché? Erano “tempi diversi”? Anche se questo dei tempi diversi rischia di essere troppo spesso un alibi discutibile. Oltretutto, che cosa vuol dire <i>diversi</i>, quand’è ovvio che fossero tempi tali per il solo non essere attuali? </span><br />
<span style="font-family: Verdana,sans-serif;">O forse perché ballo e, solo dopo, in mostra c’era un professionista? </span><br />
<span style="font-family: Verdana,sans-serif;">Quanto era preparata la giornalista Fallaci, quanto era pronta a reagire alle domande di chi non vedeva l’ora di metterla in difficoltà? Quanto poco era ripiegata su se stessa, e disposta – invece – a dar battaglia per vedere affermare le seconde verità? </span><br />
<span style="font-family: Verdana,sans-serif;">Bisognerebbe porsele, alcune domande, ogni tanto. Addetti ai lavori e non. Intervistarsi. Auto rivolgersi degli interrogativi e rimanere fermi, lo sguardo fisso, ad aspettare le proprie risposte. Magari anche un registratore acceso.
Una di queste, ad esempio, potrebbe essere se sarebbe mai stato possibile intervistare figure di rilievo senza essere un professionista del settore. E che cosa arriva ad affermare, un Paese, quando si affidano lavori delicati a chi non è abilitato a svolgerli. </span><br />
<span style="font-family: Verdana,sans-serif;">Chiediamocelo. </span><br />
<span style="font-family: Verdana,sans-serif;">E poi chiediamoci anche se valuteremmo lecito che un cantante entri in sala operatoria per operare un malato, che un ingegnere (anche solo per una sera) gestisca le cucine di un ristorante al posto di uno chef, che un fioraio visiti un paziente al posto di un dermatologo. </span><br />
<span style="font-family: Verdana,sans-serif;">Snocciolato il rosario degli interrogativi, diamoci una risposta. </span><br />
<span style="font-family: Verdana,sans-serif;">A lume di naso suonerebbero tutte come anomalie. Gravi e inaccettabili. Perché in un caso ne andrebbe della salute del cittadino, nell’altra del buon nome del ristorante… </span><br />
<span style="font-family: Verdana,sans-serif;">E allora come mai non ci chiediamo, anzitutto che fine ha fatto l’Intervista e subito dopo che fine hanno fatto gli unici titolati a farle?
Chiediamoci anche questo, e proviamo – se ce la facciamo – ad ascoltare l’unica risposta possibile.
Con buona pace di chi il diritto all’informazione lo tutela per tutti. Intervistati, intervistatori e cittadini (compresa la loro salute).
</span>Chiara Licohttp://www.blogger.com/profile/05765929314785063157noreply@blogger.com1tag:blogger.com,1999:blog-432065510953806107.post-36289512551295712192014-04-13T13:35:00.001+01:002014-04-15T12:19:01.214+01:00PUGLIA - ITALIA CON CECILIA CHE DICE NO<span style="font-family: Verdana,sans-serif;">Cecilia Mangini è una ragazza di 87 anni che negli occhi e nella voce ha la potenza rivoluzionaria di chi non ha paura. Nelle stesse ore in cui Roma veniva messa a ferro e a fuoco da chi a modo suo cerca di esprimersi, lei a Pordenone - solo con le parole - incendiava una sala piena, emozionata e ancora stordita dalla proiezione del suo documentario girato on the road con Mariangela Barbanente: “In Italia ci illudiamo di avere tre poteri, ma quello legislativo è in appalto a badanti, cuochi, camerieri e colf del presidente di turno. Anche di quello attuale”. </span><br />
<span style="font-family: Verdana,sans-serif;">E’ un attimo. Quello che basta perché in sala si prenda coscienza e ci si ritrova catapultati nella certezza che chi crea non lo fa a caso né invano. Un attimo, e un documentario che sulla carta doveva nascere come viaggio attraverso le metamorfosi della Puglia (dal suo immobilismo rurale ai progressi della modernità attraverso la fabbrica) e che nella pratica risulta una metafora dell’Italia in declino e a ritroso, la discesa negli inferi di un paese e delle sue illusioni bruciate, è un attimo e d’un tratto tutto si trasforma in un trampolino per riflessioni che toccano i nervi scoperti di un popolo tradito. </span><br />
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<span style="font-family: Verdana,sans-serif;">Sono da poco passate le 22 quando i titoli di coda scorrono e le luci in sala fanno vedere gli sguardi emozionati di chi ha scelto, in controtendenza rispetto alle mode, di intraprendere, con un documentario, un viaggio per l’Italia e le sue storture.</span><br />
<span style="font-family: Verdana,sans-serif;">Tutto documentato, tutto visibile.
Faticoso realizzare come la Puglia, qui una parte per il tutto, sia la copia carbone di un miglioramento negato. Si vedono, in bianco e nero, le realtà rurali e contadine; si tocca con mano la speranza in un futuro evoluto. E si riscopre, con l’amaro, come la stessa fabbrica (l’Ilva di Taranto, il Petrolchimico di Brindisi) che doveva dare riscatto e forza, ha tradito il popolo e gli sta dando la morte. Condannati. Come in Campania, come a Marghera. Come ovunque la classe politica non si sia imposta e dove si è costretti a sperare in una magistratura che si sostituisca alla classe dirigente. </span><br />
<span style="font-family: Verdana,sans-serif;">Sullo sfondo, i filmati dell’epoca (molti tratti dai precedenti lavori della Mangini, i testi di Pasolini) che proseguono nel digitale di oggi e le riflessioni di chi parte in causa è stato. </span><br />
<span style="font-family: Verdana,sans-serif;">Un lavoro che va assorbito su due piani: tecnico e di contenuti. Il primo, con i suoi tagli vivi, la visione dei neonati nelle sale di rianimazione dell’ospedale di Brindisi, l’utilizzo di documentari del passato che hanno il pregio di farci rientrare nel tempo dalla porta del passato e di farci attraversare la storia fino a tornare ai giorni nostri, quelli del digitale. Raffinatezze, atti di coraggio stilistico che non sono poco. </span><br />
<span style="font-family: Verdana,sans-serif;">E poi i contenuti. L’analisi spietata e dolorosa di una condizione di rassegnazione che non può essere accettata né subita. Le “disuguaglianze atroci dell’Italia”, che portano Cecilia a citare il Fortini de “I fascisti in camicia bianca”, che non sono diversi da quelli vestiti di nero. “Bisogna essere francamente contrari a tutto quello che succede e dirlo”. Memorabile questo passaggio, sullo sfondo le onde del mare inquinato di Brindisi, all’orizzonte i pennacchi fumosi del Petrolchimico che ha portato a “morti senza colpevoli”.</span><br />
<span style="font-family: Verdana,sans-serif;">Un regalo all’Italia, questo film. Nato da un pensiero covato e ben attuato da Mariangela Barbanente. Pugliese anche lei, stesso paese e stesso lavoro di Cecilia. Occhi diversi, identica sensibilità nel voler raccontare un’Italia sull’orlo di un baratro in cui però il coraggio deve essere quello dell’ottimismo.
Dice Cecilia: “E’ passata l’idea che le conquiste fatte potessero essere sgretolate. I poteri forti hanno puntato a destrutturare. Si è partiti da Craxi, che ha toccato lo statuto dei lavoratori. Non un intervento massiccio, ma il fatto stesso che sia accaduto ha reso possibile aprire un varco. E si è arrivati al punto di pensare di ritoccare la Costituzione. Una lenta marcia di avvicinamento al pericolo”. </span><br />
<span style="font-family: Verdana,sans-serif;">Si resta zitti a riflettere se sia vera o no la considerazione che tutto questo è stato possibile perché spalmato su trent’anni. Un processo di deterioramento ben studiato dall’alto e interiorizzato dal basso. E ci si domanda se davvero, fosse successo in tre anni ci sarebbe stata la rivoluzione.
La verità è che non lo sapremo mai. Ma la verità è anche l’immagine di quel carrubo che chiude il documentario. I carrubi fanno i fiori che servono da cibo ai somari. I somari in Puglia non ci sono quasi più e anche i carrubi sono scomparsi.
Tranne uno, splendido, proprio nella piazza di Brindisi, città vilipesa e offesa. Non tutelata né dalla legge né dalla politica. Accanto al carrubo ci sono due figure, il futuro e il passato.
Non va aggiunto altro, perché quel che andrebbe detto, è detto là. E va visto.
</span>Chiara Licohttp://www.blogger.com/profile/05765929314785063157noreply@blogger.com1tag:blogger.com,1999:blog-432065510953806107.post-6460816999546290782014-04-12T12:24:00.000+01:002014-04-15T12:20:00.591+01:00TATA VIVIAN, QUANDO L'ARTE USA LA VITA <span style="font-family: Verdana,sans-serif;">"Qual è il modo per vivere per sempre?". E' la domanda, in audio ambiente, che Vivian Maier rivolge ai bambini che quotidianamente porta in giro per la città. Mentre loro la ignorano e continuano a giocare. Una testimonianza documentata da filmati girati da lei stessa, una voce che se ne va in giro all'aria aperta e che attraverso il tempo, il caso, la fortuna e la caparbietà di un giovane rigattiere arriva fino ai giorni nostri.
E' uno dei tanti passaggi cardine di Finding Vivian Maier, il documentario trasmesso ieri sera al Cinemazero di Pordenone sulla straordinaria odissea della tata - artista che con suoi scatti ha segna uno spartiacque tra la fotografia accademica riconosciuta ufficialmente e l'arte vera che alla fine si fa spazio a discapito degli ostacoli che si ritrova sul cammino. </span><br />
<span style="font-family: Verdana,sans-serif;">La storia è quella di una bambinaia con la passione della fotografia che colleziona, mantenendoli segreti, migliaia e migliaia di scatti sviluppati e altrettanti rullini. Oltre a giornali, ritagli, appunti. Tutto gelosamente custodito. Sarà una scoperta apparentemente causale a far sì che l'arte sottesa a questa narrazione dell'attualità per immagini venga alla ribalta e si impossessi della scena. </span><br />
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<span style="font-family: Verdana,sans-serif;">Ma non è una storia di segreti nascosti quella che viene fuori dal racconto ritmato, curato, ricercato. Tantomeno di talenti emersi a posteriori.
Per questo, si erano già scomodati in tanti. E l’operazione sarebbe stata più facile e proficua se coltivata su altri terreni.
Piuttosto, qui c’è la denuncia sottile e dolorosa che una vita artistica è chiamata a mettere in luce: la necessità di ricercare ostinatamente la maniera di sopravvivere alla quotidianità faticosa e turbolenta. Che fornisce impegni, distrazioni. Che è reale e in quanto tale fuorviante. Per il solo fatto di distogliere e portar via.
E allora eccolo il nocciolo di una vita dedicata, chiamata alle armi suo malgrado: il non poter farne a meno. Il dover ribadire sempre, costantemente.
Quella macchinetta sempre appesa al collo, ad esempio, che cos’è, se non un ribadire: io e il mio strumento, sempre insieme.
Non a caso, man mano che la storia viene snocciolata come rosario di informazioni e chiarimenti, l’imprevedibile diventa l’ovvio e quel che si è ritenuto la norma fino ad allora, l’accessorio.
La tata e la fotografa. La domanda è: Chi è chi. Chi usa chi.
E se è possibile che i destini si prendano gioco delle vite, piegandole a loro piacimento.
Questo lavoro, tagliato su una storia intrigante dice di sì: il potere dell’arte travalica a tal punto l’individuo che la veicola, che la fine non poteva se non essere quella destinata agli artisti. Quando si abbassano le luci, della tata non c’è più traccia. Resta la fotografa che ha piegato persino l’intellighenzia patinata ostile e riottosa.
Potere dell’arte. E dell’imprevedibile.
Che però a un certo punto, come in tutte le storie in cui va trovato l’anello mancante, viene fuori inaspettatamente (ma non a caso) sotto forma di mossa falsa. Calcolata.
Qui non si dirà niente. Perché questo documentario è un inno all’arte che vale la pena cantarsi da soli. E a dirla tutta, anche più di una volta.
"Qual è il modo per vivere per sempre?", chiedeva la Maier. E il suo tono era sarcastico perché la risposta c’è e lei ce l’aveva. E’ nella lettera che sbuca verso la fine del documentario. Scritta proprio dalla fotografa nascosta dalla tata.
Come dire il destino un bel niente. L’artista sa tutto e lo mette per iscritto.
Al massimo, può non sapere come, perché e da chi verrà scoperto poi.
</span>Chiara Licohttp://www.blogger.com/profile/05765929314785063157noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-432065510953806107.post-41214185008991092222014-04-11T14:52:00.002+01:002014-05-06T14:00:46.084+01:00 LA VOCE NON E' SERVITA<br />
<span style="font-family: Verdana,sans-serif;">Nutrirsi bene costa fatica, tempo e dedizione. Soprattutto in questi giorni, in cui si passa dall’antipasto di Europee in salsa rosa che ci viene imposto dal mattino alla sera al tris di pene a scelta da somministrare a Berlusconi. Segue un secondo piatto di intestini tradimenti e via via ci si ritrova, non a caso, alla frutta. Tutto perfettamente previsto e guai a uscire da questo prezzo fisso: il menù delle informazioni light è servito. E poi. Poi ci sono le delizie, che per definizione sono rare. Da selezionare con cura: vanno scelte, scremate e richiedono pazienza. Davanti al banco bisogna investire tempo. Sono le seconde verità. E vanno capite. Non in quello che dicono ma per quello che tacciono. Fiumiciattoli carsici e apparentemente minori che però - una volta che ci hanno fatto rinfrescare le idee – ci fanno riscoprire un appetito insaziabile. Anche perché non sono dirompenti, come la legalizzazione della fecondazione eterologa e la morte della legge 40; o come la sentenza (subito impugnata dalla Procura) che prevede la ratifica del comune di Grosseto del matrimonio celebrato a New York dei due italiani, Stefano e Giuseppe. Sulle quali molto ci sarebbe da dire. No, qui il problema è contrario. È che secondo le regole della cosiddetta notiziabilità (il criterio per cui si stabilisce che un’informazione sia una notizia, <i>ndr</i>) non c’è spazio in prima pagina sulla decisione di Mosca di chiudere “The Voice of America”, la radio ascoltata da 30 milioni di russi ai tempi dell’Urss. Una notizia che fa rabbrividire nei giorni in cui Pordenone ospita, bizzarra la coincidenza, "Le voci dell’inchiesta", con artisti, documentaristi, narratori dell’immagine, del suono e della parola che vengono da tutto il mondo. E dove faranno la loro parte anche il regista X e Y, i due coraggiosi attivisti anonimi russi che in spregio del pericolo vero, hanno documentato con il loro collettivo Gogol’s Wives le azioni eversive e contrarie al Cremlino delle Pussy Riot. Una Russia dal doppio binario, dunque. Che da un lato va all’indietro, sfronda la linea del tempo conquistato e si dichiara ostile al resto del mondo. </span><br />
<a name='more'></a><span style="font-family: Verdana,sans-serif;">Un Paese che si blinda in sé e decide, unilateralmente, di bandire l’emittente statunitense dalle sue frequenze. Una radio che è parte della storia della resistenza, se negli anni Settanta milioni di cittadini si sintonizzavano di nascosto solo per sapere, solo per conoscere. La Russia, insomma, che usa come arma l’imposizione del silenzio, mettendo a tacere possibili influenze, con pensieri diversi e dove il prezzo maggiore lo paga sempre l’informazione libera che circolando fa crescere e rende evoluti. E, a pioggia, lo paga chi non può usarla e giovarsene. E poi l’altra Russia. Che rischia la vita e non si rassegna. Che deve, suo malgrado essere clandestina e nascosta, ma solo per essere più libera dopo. Sarà interessante vedere e tastare con mano la reazione di chi vedrà domenica vedrà il documentario, tutto girato in presa diretta e in condizioni al limite del pericolo. Eppure quel che colpisce è che non una volta – come invece è abitudine dalle nostre parti – la telecamera né chi vi stava dietro è mai stata oggetto di aggressioni oscurantiste o minacce. Segno che anche nelle condizioni peggiori, la necessità di dire e di documentare è salvaguardata. Buon per chi lo vedrà. Male per tutti noi, invece, che alcune notizie non le eleggiamo a degne della massima attenzione. La chiusura di “The voice of America” era una di queste. Nel servirla come piatto del giorno l’Italia avrebbe fatto la parte dell’intenditore buongustaio. Invece silenzio. E il silenzio è un messaggio chiaro: significa stabilire a monte che non c’è nesso di causalità tra gli eventi. Ovvero: tutto quel che sta accadendo accanto a noi, anzi addosso a noi - tra mire espansionistiche e atteggiamenti egemonici è un fatto. Punto. Da prendere così com’è, nessuna domanda, nessuna risposta. Significa che non vale la pena lo sforzo di collegare questo presente da tenere sott’occhio non solo perché è nostro vicino di casa ma perché è un auspicato e ostinato ritorno ai tempi della Guerra Fredda. Non vale la pena capire il rischio estremo che corre una porzione di mondo e gli sforzi fatti fino a ora per chiudere capitoli considerati irripetibili. E non vale la pena il ruolo dell’informazione vera, da difendere con le unghie e con i denti, che è il cardine delle democrazie e delle loro voci. Soprattutto, una notizia così indigesta servita su un piatto d’argento ci avrebbe fatto il regalo doppio di farci subito passare la fame e di far uscire allo scoperto i nostri politici. Che al bivio avrebbero dovuto scegliere. "The Voice of America": sì o no. Russia di Putin o Russia versus Putin. <i>Dude, where’s my country?</i>, si chiedeva Michael Moore quando andava in giro per l’America di Bush junior e giorno per giorno si rendeva conto - e documentava - che ai cittadini che non ne potevano più bastava tener nascosta la verità per farli andare avanti a far la più idiota delle guerre… Viene voglia di riformularla adesso, quella domanda. Adesso che questa Voce d’America (e d’Occidente) viene messa a tacere e che nessun’altra qui, le ha fatto da contraltare. La controinformazione, alla fine è questa. Ed è digiuno volontario che fa bene, se depura dalle tossine che inquinano. E se consente ancora di covare la forza per chiedere: Ehi, signori politici, dov’è il nostro paese? Che fine gli fate fare? Ma soprattutto, voi: dove state? Da quale delle due parti? </span>Chiara Licohttp://www.blogger.com/profile/05765929314785063157noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-432065510953806107.post-35701377059227700332014-04-05T22:51:00.002+01:002014-04-15T12:21:03.159+01:00DOCUMENTO QUINDI RESISTO <span style="font-family: "Candara","sans-serif"; font-size: 12pt; line-height: 115%;">Più di un anno fa e proprio su questo blog si rifletteva su come il giornalismo a volte sia costretto a cedere il passo ad altre forme di comunicazione che diversamente e ben più di lui ce la fanno ad andare a inserirsi nelle pieghe di una società poco avvezza a sentir dire. E quindi, poco addestrata ad ascoltare e ad analizzarsi. Una di queste espressioni veniva individuata nel documentario.</span><br />
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<span style="font-family: "Candara","sans-serif"; font-size: 12pt; line-height: 115%;">In nuce c’era la critica alla scelta, tutta nostrana ma firmata dal Maxxi, di proibire la proiezione di "<a href="http://girlfriendinacoma.eu/" target="_blank">Girlfriend in a coma</a>", <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>documentario sul declino dell'Italia del britannico Bill Emmott e di Annalisa Piras. Era il 2 febbraio 2013. Passarono un paio di settimane e un lettore mi informò, sul blog, che due settimane dopo cancellazione romana, la stessa proiezione aveva fatto il tutto esaurito alla prima milanese al Teatro Elfo Puccini. E che da lì sarebbe andato, in doppia proiezione ai Teatri di Vita di Bologna.</span></div>
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<span style="font-family: "Candara","sans-serif"; font-size: 12pt; line-height: 115%;">Si riparte da qui. Da questo episodio che a distanza di tempo ancora non allevia la miopia delle gerarchie, iperattive nel mettere a tacere la verità sullo stato comatoso di un’Italia in declino (un segreto di Pulcinella, allo stato dei fatti) per tornare a riflettere sul ruolo di un’informazione approfondita. Sui suoi vantaggi, sui suoi rischi. Sul suo valore. <span style="mso-spacerun: yes;"> </span></span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: normal; margin-bottom: 0cm; mso-layout-grid-align: none;">
<span style="font-family: "Candara","sans-serif"; font-size: 12pt;">Si riparte da qui perché<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>tra meno di una settimana si svolgerà uno dei più interessanti Festival culturali di questi ultimi anni: <a href="http://www.voci-inchiesta.it/" target="_blank">Le voci dell’Inchiesta</a>. Dal 9 al 13 Aprile la città di Pordenone sarà ammantata da un vortice di proiezioni, anteprime, documentari, interviste per un’ottava edizione dedicata a Carlo Mazzacurati. Un’offerta che anche nelle scelte indica l’urgenza di dire, sì, ma soprattutto di andare a fondo. Di individuare che cosa c’è dietro. </span><br />
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<div class="MsoNormal" style="line-height: normal; margin-bottom: 0cm; mso-layout-grid-align: none;">
<span style="font-family: "Candara","sans-serif"; font-size: 12pt;">Un esempio per tutti è il documentario sulla tata-fotografa, <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Vivien Maier</i>. Ma anche <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Inreallife</i>, sul rapporto tra adolescenti e Internet, con tutte le spine che un discorso del genere comporta nei giorni in cui la cronaca ci fa raccontare le storie dei baby prostituti trafficati in Rete. </span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: normal; margin-bottom: 0cm; mso-layout-grid-align: none;">
<span style="font-family: "Candara","sans-serif"; font-size: 12pt;">Ed ecco il documentario. Ecco quell’approfondimento di cui si ha bisogno perché il giornalismo <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>- come lo si intende tradizionalmente - da solo non ce la fa.</span></div>
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<span style="font-family: "Candara","sans-serif"; font-size: 12pt; line-height: 115%;">E allora, c’è da chiedersi se sia davvero un caso che proprio il documentario come forma espressiva e produttiva sia soggetto a una maggior e più raffinata attenzione rispetto all’informazione in circolazione. A volte anche a un più intenso boicottaggio. Si pensi a Michael Moore, si pensi ancora a Emmott. La risposta è nella scelta audace che un documentarista fa di prendere una posizione e sostenere una tesi. E di svilupparla, costi quel che costi. Di approfondirla. <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Attraverso un meccanismo che ha la stessa tenuta di una serialità (cioè lo scavo) ma con i tempi dell’attualità. Adottandoli, questi tempi perché si tratta spesso di narrazioni innovative, tecnicamente e lavorativamente. E interpretandoli. E così il racconto dell’oggi diventa affresco di un’epoca. </span></div>
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<span style="font-family: "Candara","sans-serif"; font-size: 12pt; line-height: 115%;">Ecco dunque che in questo senso il documentario ha in sé un doppio valore. Produttivo: di scelta, confezionamento, stile, impronta, e storico: perché decidere di voler approfondire una sfaccettatura della realtà che ci circonda (piuttosto che un’altra) ha già in sé la potenza di qualcosa che si individua come storicamente rilevante. E quindi da raccontare. </span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: normal; margin-bottom: 0cm; mso-layout-grid-align: none;">
<span style="font-family: "Candara","sans-serif"; font-size: 12pt;"><span style="mso-spacerun: yes;">L'allerta dunque </span>c’è. Sarà curioso per me vedere le reazioni a due documentari di cui ho la fortuna di poter moderare il dibattito successivo alla proiezione. In particolare, quello tra i due che più va a toccare un nervo scoperto di questi ultimi mesi: la questione russa e la ribellione che cova al suo interno. <i>Pussy versus Putin</i>, si intitola. Lo firma il collettivo Gogol’s Wives. Un lavoro che traccia le dimostrazioni, i sostenitori e gli oppositori delle punk anarchiche che hanno sfidato il Cremlino. Tutto in presa diretta, comprese le registrazioni da dietro le sbarre. </span></div>
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<span style="font-family: "Candara","sans-serif"; font-size: 12pt; line-height: 115%;">Una fotografia dell’attuale troppo coincidente con altri scatti (d’orgoglio) che vengono dalle nostre parti. Se è vero che nella riunione parigina di tutti i ministri della cultura europei, dove un grido collettivo si è alzato in nome della cultura come anima dell’Europa che va difesa, una voce (ma forse saranno state le orecchie mie), è stata particolarmente acuta e piacevole: quella della francese Fiippetti, che solo un concetto ha ribadito forte: “La cultura è resistenza”. </span><br />
<span style="font-family: "Candara","sans-serif"; font-size: 12pt; line-height: 115%;">Una frase che andrebbe ripetuta, come un dogma e come un mantra. Soprattutto nei periodi di stanca e di sofferenza.</span><br />
<span style="font-family: "Candara","sans-serif"; font-size: 12pt; line-height: 115%;"><i>La cultura è resistenza. </i> </span><br />
<span style="font-family: "Candara","sans-serif"; font-size: 12pt; line-height: 115%;">A ben guardare molti dei protagonisti dei documentari che stanno per essere presentati a Pordenone, da Olivetti alle Pussy Riot, che cosa hanno fatto o stanno facendo se non resistere, cioè informare, far sapere? Così come quel <i>Girlfriend in a coma, </i>censurato un anno fa: voleva lanciare a un’Italia morente solo un invito: Fai sapere di te. Cioè, Resisti. </span></div>
Chiara Licohttp://www.blogger.com/profile/05765929314785063157noreply@blogger.com0