giovedì 7 dicembre 2006

Denada



Questo racconto ha vinto la prima edizione del premio Enzimi 1997 ed è stato pubblicato nella raccolta Scrittura Fresca (ottobre 1997)



DENADA

Anna sei bella. Quarantun anni e sei ancora bella. Non gli hai dato mai dispiaceri tu, ai tuoi. Ti sei sposata giovane ma lui era bravo e a tua madre piaceva. Anna quest’Albania non è più come prima ed è difficile accettarlo. Prima ti impiccavano se ti mettevi l’orologio o la giacca, adesso girano tante di quella macchine rubate che sembra l’America.

Troppi cambiamenti, troppe novità e tu non ce la fai a stare dietro a tutto.


Anna che sei nata e cresciuta a Fier, periferia della periferia che adesso è più vuota di prima. Eterno polverone dove i ragazzini anneriti simulano la guerra e non lo sanno. Dove fanno a gara a chi mira meglio coi sassi i vetri degli edifici disabitati. Dove i vecchi-giacche ruvide e canottiera stanno pomeriggio dopo pomeriggio a bere nei bar. Sono sporchi questi vecchi, ma a nessuno gliene frega. Anna, due figli: le uniche cose. La prima, Denada. Ti ci fermavano per strada per dirti quant’era bella e tu a casa te la riguardavi e ti venivano le lacrime agli occhi. Poi il secondo, moro come te. Tu eri già madre, prima ancora che nascessero e pure le mutande ti saresti tolta per loro. Anna, non li hai fatti mai i debiti e la ringrazi la gente brava che t’ha aiutato; hai spaccato il soldo, tu, e lo sai che cosa vuol dire. Ma solo una cosa ti importava: dovevano studiare e andarsene di lì.


Poi d’un tratto Denada che non parla più, tu la guardi, bionda e occhi azzurri, non sembra manco figlia tua, dentro di te la capisci, pure tu scapperesti. Quando-ti-sarai-sposata-te-ne-andrai, le ripeti, ma in fondo speri tardi perché lo sai che il matrimonio è fare la serva dentro casa.

Anna che la vedi lì, buttata davanti alla televisione, svogliata, rubata da un’Italia troppo lontana, faresti qualcosa, gliela fabbricheresti tu, colle tue mani se potessi, una vita migliore. Ma ci pensa Agim. Bastardo che se ce lo avessi davanti lo sapresti tu che cosa fargli, e sapevi pure che non ti piaceva.

Anna.

Che soprattutto sei madre. E una madre certe cose le sa, le sente, c’ha un istinto che gli dice i sapori, gli odori. Quelli veri. E Agim puzzava di merda. Ma lei non ti ascoltava, non ti faceva neanche parlare. Succede tutto prima che tu te ne accorga: te la prende di mira all’uscita di scuola, è bello, elegante, falso come quelli che lei vede tutti i giorni in televisione. Ma lei questo non lo sa. Sembra ricco e quei capelli sanno d’Italia.

E Italia sia.
Ma tu alle favole non ci credi più. Il tempo ti ha dato il tempo di fartici rinunciare e lo sai, tu, che niente di ciò che si ottiene facilmente dura a lungo, e allora perché lei non ti ascolta, non hai fatto niente, tu, in tutti questi anni da poterti meritare un po’ di fiducia?

Poi avresti saputo che tua figlia voleva farti una bella sorpresa, sposandosi senza avvertirti, avresti saputo che quel sogno dell’Italia era in realtà un viaggio verso la prostituzione, che Agim ne era il responsabile.

Avresti saputo che adescava ragazzine, gli prometteva il matrimonio e le sbatteva a Vicenza, in mano ai papponi.

Solo più tardi avresti saputo che la sua sorpresa era stata peggiore della tua. Anna madre che cosa ti rimproveri, tu, che non glielo potevi toccare, anche se avevi capito, anche se avevi sentito?Poi all’improvviso non la trovi più.

Anna che la rivivi quella scena, mentre la racconti: Anna che guardi fissa un punto e ti si strozza la voce; Anna che te la rivedi davanti quella porta spalancata, Anna che ti sorge il sospetto e subito lo butti via; Anna che cominci a correre, a chiamare, a gridare, a strillare, che sei pazza; Anna che ti devono tenere che sembri un ossesso; Anna che in un secondo ti vengono in mente tutti i discorsi, quanti discorsi, tanti discorsi, troppi, forse e poi…

Stop.

Oggi sta dalle suore. La vai a trovare ogni martedì e quando esci ti viene da vomitare. E’ sempre bella, e ti si gonfiano gli occhi, sembra lo stesso viso di quando ti fermavano per strada e ti dicevano “quant’è bella, che Dio la benedica”. Ma tu la guardi e lo vedi che non è più lo stesso.

Perché tu sei la madre. Fine dell’ora, raccogli le cose. Una carezza e pensi che-gentile-la-madre-superiora-che-ci-aiuta-proprio-in-questo-momento. Ma sei tu la madre. Sei tu la madre. Sei tu, la madre.

Ti schiaccia questo peso. Ti avvii verso casa, i passi lenti e pesanti, uno dietro l’altro. D’un tratto ti fermi, immobile, come se avessi dimenticato qualcosa. Giri su te stessa, torni indietro decisa. Ti avvicini al marciapiede, lo fissi e per non dar tempo alle lacrime di uscire, con tutta la rabbia del mondo ci sputi sopra.

© Chiara Lico



3 commenti:

Anonimo ha detto...

Brava! Finalmente on line... vedi che eravamo in attesa? Ciao Giovanni

Anonimo ha detto...

Sono improvvisamente tornata indietro negli anni, quasi dieci vedo.
Eppure sembravano meno!!!!
Commossa e orgogliosa saluto!!!
bacini
L.

Anonimo ha detto...

Complimenti, bellissimo e sopratutto di un'intensità che forse solo una madre poteva dargli ...

Ciao
Walter