sabato 20 dicembre 2008

CUORI INCAPACI


Davanti al portone s’è fatto un capannello di gente. Qualcuno dice largo, largo, e la folla si sparpaglia. Mi sembra di soffocare, le gambe mi tremano, sgomito fra la gente. Quando arrivo tu già non ci sei più. Ti hanno portato via. Sei all’ospedale.

Sono i tuoi nonni che hanno dato l’allarme: hanno telefonato a lungo, nessuno rispondeva. Tutto ieri sera e tutta stamattina. Io però non ho ricevuto nessuna chiamata. Ce l’hanno con me per via della separazione, mi danno la colpa. Io di certo non mi prendo nessun merito. Sono stata capace di poco, in famiglia. Anche i giudici se ne sono accorti, tant’è che ti hanno affidata a tuo padre.
E’ stato lui a insegnarti tutto: l’educazione, il rispetto, la voce bassa.
Chi ti ha scelto i vestiti, la scuola, le scarpe è sempre stato tuo padre. Lui ti ha comprato le mollette per toglierti i capelli da davanti agli occhi e lui ti ha rimproverato perché a tavola si sta composti.
Io ti ho messa al mondo, se questo può bastare.
A me è bastato.

Tu non disturbi mai, in genere sei discreta.

Eppure adesso ti stai catapultando nella mia vita.

Questa luce al neon mi sta distruggendo. Sono qui da due ore.
Ancora non mi permettono di vederti. Fanno avanti e indietro: una volta il medico, una volta lo psicologo, un’altra volta ancora la caposala. Sempre così: entrano e escono da quelle porte senza curarsi di chi è fuori. Secondo me questa tecnica l’hanno studiata: uscire senza guardare in faccia i familiari. Un modo per sopravvivere, anche per loro.

Quando usciamo da qui ti porto al mare: andiamo a fare una corsa sulla spiaggia, anche se è inverno, anche se fa freddo. Un po’ di aria ti farà bene. Ti ho portato una sciarpa, l’ho comprata al volo prima di entrare in ospedale. Non mi andava di presentarmi a mani vuote. Non sarà tanto, ma ti darà un po’ di calore.
Perché se hai freddo, da adesso sarò io a scaldarti piedi e cuore.


Quando ho ricevuto la telefonata della polizia ero in ufficio. Ho mollato tutto e mi sono precipitata. Chi vuole, sa come trovarti. Invece i tuoi nonni non mi hanno fatto neanche uno squillo. Hanno pensato bene di fare quasi sessanta telefonate a tuo padre e nemmeno uno squillo a me.

Tu sei una bambina giudiziosa, per i tuoi quattro anni. Chissà se se ne accorge lo psicologo che ti parla. Mi incuriosisce sapere che cosa ti chiede, in che modo cerca di scalfire il tuo silenzio di pietra. Sei stata zitta e muta per un pomeriggio e una mattinata intera.
Sdraiata sul letto accanto a lui, immobile.


Sei molto legata a tuo padre. Ci tieni più a lui che a me. Giusto così, perché lui ha faticato di più con te. Questo è il prezzo che pago oggi.
Adesso però il passato è passato e per noi due comincia una nuova vita. Ma dobbiamo costruirla da zero, intorno a noi sono tutte macerie.


Sei sempre stata il cuore di tuo padre, tu.
Gli è esploso quando ti ha visto la prima volta e da allora è andato in frantumi. Ma erano frantumi di luce e di aria e di vento e di colori e di lacrime e di erba e di montagna e di corse in bicicletta. Era un prisma di luce che si ricomponeva.
Non come adesso, che il suo cuore è esploso in mille stelle filanti colorate. S’è sbriciolato.
Infarto secco: e i cocci sparsi non si riattaccano più.

Adesso mi viene anche un po’ da ridere, alla fine io e lui avevamo la stessa malattia: i cuori incapaci. Il mio di amare, il suo di vivere.
Per fortuna tu hai ripreso da lui, sei una bambina generosa.
Il mio invece si rimpicciolisce sempre di più. È una prugnetta secca che mi protegge da tutto. Ma non piango mai.

Un’infermiera mi passa davanti, si ferma un attimo con aria interrogativa, mi chiede che cosa succede, se voglio qualcosa. Le rispondo No, non voglio niente. Posso ridere?
Scuote la testa, si stringe le cartelle al petto e se ne va.


Ti aveva fatto mangiare, aveva pulito la cucina e poi si era messo un po’ sul letto: tu accanto a lui.
Il colpo gli è preso quando già si era addormentato.
E tu sei stata zitta, perché ci si deve muovere piano, quando la gente riposa o dorme. Non bisogna fare rumore.

Sedici ore sdraiata accanto al cadavere di tuo padre.
Senza mangiare, senza cacca, senza pipì.
Lui si gonfiava e tu ferma.
Gli occhi chiusi, girata dalla parte sua, come al solito.
Ti hanno trovato così i pompieri che sono entrati con l’autoscala. Accoccolata sul fianco sinistro, il braccio destro allungato su di lui.
La manina sul suo cuore.

Il tuo dolore si è appiccicato a un vigile del fuoco. Lo ha agganciato, gli è entrato dentro, lui è scappato in bagno a dare di stomaco. Succede. Solo a me non capita mai. Io e le emozioni siamo due poli che si respingono. Quindi da me non aspettarti granché.

Quando andiamo via dalla spiaggia passiamo a prenderci due pizze e ci affittiamo un film, quello che preferisci tu. Così capisco anche i tuoi gusti.

Comincia a fare freddo qui dentro. Io già non ce la faccio più, mi gira la testa. La porta a vetri si apre, sono arrivati anche i tuoi nonni. Parlano tra loro, non si sono accorti di me, seduta su questi sedili con la sciarpa a righe colorate in mano. Chiedono a un’infermiera dove sei, le dicono il tuo nome e il tuo cognome. Per fortuna ci sono loro, tu non sei sola.
Mi faccio coraggio e sposto quest’aria pesante, fuori c’è un bel freddo. Me ne vado. Si vede che era scritto così: io non dovevo avere una figlia e tu non dovevi avere una madre. Almeno evito un altro errore, che se poi qualcosa va storto il mio cuore ce la fa, ma il tuo non lo so.
Lascio la sciarpa qui. Prendila, che quest’anno l’inverno sarà più freddo del precedente.

© Chiara Lico





3 commenti:

VIDEOMAKER ha detto...

Cuori incapaci, cuori in inverno.
Siamo in tanti ad averli, potremmo farne una collezione e venderli a
Porta Portese.
Ma siamo noi a volerli fermare, a farli diventare bradicardici.
Come se il battito violento ci facesse paura.

Non dobbiamo avere paura del nostro cuore.
E anche se questo inverno dovesse essere piu' freddo del precedente, stiamo tranquilli:
una sciarpa ci salvera'

valerio ha detto...

quella sciarpa è li come un esca per un pesce....e il pescatore chi è...? Sei tu che sei li in silenzio ad attendere in riva al lago che il galleggiante vada giù,che ci sia un piccolo sussulto su quel tappetto di sughero che galleggia sul leggero incresparsi dell'acqua...che a volte può essere calma ma quando viene agitata sa che potrà superare qualsiasi ostacolo si frapponga fra lei e il mare...il mare della vita, che non si sa se vi farà rivedere, ma che comunque lascia la speranza che quel galleggiante arrivato fin li vada giù...e tutto il resto è vita....

Andrea Benigni ha detto...

sono racconti molto emozionanti. un po' tristi, ma non strappalacrime, di quelli costruiti apposta. c'è del vissuto.
Mi sa che mi compro il romanzo su pf.