venerdì 12 marzo 2010

LA BELLA, LA BESTIA E LA PIOGGIA CHE CADE

Sono belli. E forti. Sono giovani. In una parola sola, sono potenti. I giovani, che uno dietro l'altro, uno accanto all'altro, uno appiccicato all'altro hanno caratterizzato questi giorni di lotta civile hanno un unico comun denominatore: una bellezza che inchioda chi cerca di avvilirla. Hanno visi chiari, capelli scomposti, le ragazze un trucco appena accennato che fa a pugni con una fanciullezza che si vuole a tutti i costi lasciare a casa. Questa protesta che avanza, che è come un terremoto perché niente, dopo, sarà come prima ma che allo stesso tempo non è un sisma perché non vuole distruggere ma edificare, è quanto di più bello ci sia stato regalato in questo momento buio e cupo della nostra storia italiana. E' il senso che ancora si vuole lottare in un paese sconquassato dal pettegolezzo di stato, messo in mostra per non parlare di fatti concreti. Ci vorrebbero spazi e pagine per poterla raccontare, questa protesta pacifica e disturbata da un'organizzazione che nulla ha avuto a che vedere con il mantenimento dell'ordine. Perché questi ragazzi, l'ordine se lo sono dato da soli. In barba a chi li vuole sterili e nullafacenti, teledipendenti e annoiati, bulli o prevaricatori. Non che questa genia non esista. Saremmo ipocriti e parziali. Ma chi era in piazza il 30 novembre, armato di libri e striscioni ha chiarito subito che se la posta in gioco è il proprio futuro, a metterlo in vendita non ci sta. E avrebbe voluto sfilare. Pacificamente, ordinatamente. Creando un unico grande corteo che però, almeno a Roma, non si è mai potuto organizzare. Il perché lo hanno raccontato i fatti, le fotografie e le immagini trasmesse in vario modo in tv. La capitale bloccata e blindata, ha potuto ospitare solo mini raduni sparsi qua e là. Con i partecipanti che si cercavano e che si telefonavano, "Tu dove sei?", "Ce la fate a raggiungerci?". Cortei frammentati, proteste dimezzate. E fare a tocchetti una manifestazione significa toglierle, nei fatti, il potere che ha in dote dalla nostra Costituzione. Manifestare liberamente il proprio pensiero il 30 novembre non si è potuto. Chi scrive era in mezzo agli studenti quel giorno. E può testimoniare che il clima non era quello delle azioni violente o delle provocazioni da raccogliere. C'erano studenti medi, professori e ricercatori. Alcuni con i capelli bianchi e quella pacatezza che solo l'età può garantire. Di sicuro non c'era l'arroganza, fatti salvi cori di rito che però hanno il peso di voci alzate al cielo. Ma non è di una Roma blindata che parleremo ora, sebbene tanto ci sarebbe da dire. E lo sanno bene le centinaia di cittadini e contribuenti che dopo una giornata di lavoro si sono visti negare anche il permesso di tornare a casa con i mezzi pubblici perché le strade erano chiuse al traffico e al transito dei mezzi. Rimarrà a lungo impressa nella memoria l'immagine di via del Tritone piena di lavoratori che finiti i propri turni faticosamente risalivano la strada, in un mano la ventiquattrore, nell'altra l'ombrello per trovare riparo da una pioggia incessante. Sotto i piedi, l'asfalto allagato; sopra la testa il cielo cupo e grigio.
In questo clima, che non è solo meteorologico, si protestava e si continua a protestare. Da Roma a Milano, da Palemo a Pisa, dove per la prima volta nella storia italiana è stata occupata la prestigiosa Normale e dove le cosiddette eccellenze si sono unite solidali agli universitari di tutt'Italia. Che cosa bisogna ancora dire, che cosa c'è ancora da fare per dimostrare che c'è una luce dentro le teste da sempre ritenute calde dei ventenni? Il gioco di far vedere solo gli scontri e le provocazioni non tiene, questa volta. Va tenuta in conto l'esasperazione e il senso di frustrazione estremo che c'è in un paese che per più di tre mesi ha sentito parlare di una casa a Montecarlo, per altri tre ha solo visto e immagazinato immagini morbose di un delitto da risolvere solo in sede giudiziaria, che vede sfilare e intervistare in tv prostitute con l'unico risultato di far lievitare il loro prezzario. Cose tutte delle quali non interessa in senso stretto niente a nessuno. Che servono a distogliere l'attenzione dai fatti concreti dei quali dovrebbe renderci conto chi comanda. Realtà che se non alimentate sarebbero dimenticate il giorno dopo, se non mezz'ora dopo. E che invece sono lì, in prima fila. Mentre in Parlamento si dà bellamente il due di picche alla possibilità di far convergere 20 milioni di euro al miglioramento del Paese.
Ma chi autorizza una simile barbarie? Chi fa sì che le priorità vengano messe in secondo piano rispetto agli interessi della politica? Non i cittadini e non gli italiani di certo, se è quasi un mese che con alterne fortune chi questo paese lo deve ereditare non fa altro che ripetere di non volersi far rubare il futuro. E per questo scende in piazza. E per questo cerca di sfilare. E per per questo manifesta il proprio dissenso. Ma nessuno ascolta, perché tra quella strada bloccata e quel palazzo così in alto c'è la distanza di un vuoto che non si colma. E che anzi, trova la sua spiegazione nell'atteggiamento di una classe politica che quando era ormai sera e la votazione per il via libero della Camera alla riforma dell'Università ultimata, scappava - letteralmente - dalle vie secondarie del palazzo; fuggiva - in barba a tutti i microfoni in attesa (in genere sempre così smaniosamente cercati) - su comode autoblu che quella via del Tritone la potevano percorrere senza problemi.
La pioggia, chi scrive l'ha capito bene quel giorno, non è un problema di tutti. Ma per far sì che non lo sia più per nessuno bisogna sapere chiaramente dove si vuole andare. E chi era in piazza quel giorno lo sapeva bene.
E qui si è vista la bellezza, nella spregiudicata testardaggine di voler perseguire i propri sogni e nell'ostinata difesa dei propri diritti. Quello al proprio futuro anzitutto. Una bellezza, nei visi, nelle movenze, nei libri esposti e portati in trionfo, che ha tenuto testa al suo opposto che non si è voluto mostrare, proprio come la Bestia della splendida favola. Intimorita e imbarazzata di fronte alla forza. La Bestia nel suo castello arroccato e triste, immobilizzato e senza futuro, ha evitato di confrontarsi con l'esterno e con una realtà Bella che avrebbe potuto - se ascoltata - aiutarlo e magari anche sbloccare il sortilegio che avvolge questo paese triste e abbrutito.

3 commenti:

lucamarzi ha detto...

spesso ci si lascia vivere addosso.
non si pensa al futuro, perche' intanto non si puo' far nulla per crearlo o cambiarlo,non si pensa affatto.
io non voglio farmi rubare il futuro anche se non ho piu' vent'anni.
grazie

Roberto Romano ha detto...

Il post è veramente bello e veritiero, anche se io farei delle distinzioni fra chi era in piazza per manifestare e chi per devastare. La rabbia è comprensibile e giustificata nei confronti di un governo assente e privo di consistenza, e rovinato dagli scandali del premier(mi fermo qui per non danneggiarti). I giovani di oggi purtroppo non hanno avuto la possibilità dei loro padri e delle loro mamme figli della rivolta del '68 a mio avviso solo improduttiva. Loro, i figli dei fiori, hanno avuto lavoro, amore libero e benessere sociale. Oggi si assiste a una disoccupazione record fra i giovani, over 70 al potere come Berlusconi, signorine di 20 anni e trentenni splendide che si infilano nei letti dei vecchiazzi bavosi con soldi che possono sistemarle in qualche televisione, e un paese spento e svilito. Consentimi la durezza dei toni, ma io da ragazzo un pò più grande di questi ventenni dico che è ora di reagire e ricostruire l'Italia come era una volta. Significa chiedere troppo? Credo di no. Buon Natale Chiara, e buon anno nuovo.

Roberto Romano

Anonimo ha detto...

Chiara,
mentre qualcuno si sollazza nello squallore più totale, circondandosi di giovani belle quanto sventurate, constatiamo che c’è un’altra gioventù, una meglio gioventù, che esprime civilmente un disagio e chiede maggiore attenzione. La protesta giovanile ha squarciato il velo di ipocrisia che regnava sovrano in questo paese, evidenziando ancora una volta l’assoluta inadeguatezza della nostra classe dirigente. Da questo e soprattutto da questo bisogna ripartire. Da tutte quelle situazioni in cui lo stato si dimostra colpevolmente assente. La partecipazione popolare alla cosa comune nasce certo da un vizio di forma (e di sostanza) ma è l’esempio più bello di attaccamento alle istituzioni che si possa celebrare. I giovani ne hanno dato una prova encomiabile, esibendo una maturità che solo per alcuni non è ancora certificata. E la violenza gratuita e ingiustificata di pochi imbecilli non deve ridimensionare in alcun modo le ragioni di fondo della protesta. I titoli di opere letterarie usati come baluardi difensivi e l’accostamento del destino della scuola e dell’università a quello dei monumenti più celebri, a scongiurare metaforicamente altri cedimenti e altre rovine, resteranno impressi nella memoria con le immagini forse più significative dell’anno appena concluso. In un paese dove non passa giorno in cui la cultura, in tutte le sue espressioni, non venga mortificata.
L’agitazione dei ricercatori precari è l’altra faccia della stessa medaglia. La ricerca in Italia è una realtà sommersa. Per intenderci, uno sciopero dei ricercatori non provocherebbe disagi come quello dei mezzi pubblici. Se ne parla soltanto quando si tratta di raccogliere fondi con le maratone televisive o con la vendita delle arance dell’AIRC. Ma ci si dimentica dei tanti giovani di valore che operano in un settore che offre scarsi riconoscimenti professionali ed economici. E’ avvilente riconoscere quanto il talento e la capacità individuale siano così apprezzati e incoraggiati all’estero e assolutamente misconosciuti qui da noi. Poche risorse e poche prospettive. Anche la ricerca è cultura ed è investimento nel futuro ma questo non sembra essere un pensiero dominante, perchè nel nostro paese il futuro non si programma. Semplicemente.
E allora, non lasciamoli soli questi ragazzi. Mi auguro con tutto il cuore che la loro mobilitazione faccia breccia nelle coscienze più intorpidite e ci convinca del fatto che è giunto il momento di voltare pagina. E’ l’occasione giusta per non lasciare che le sollecitazioni del presidente della Repubblica rimangano inascoltate come voci nella tempesta. E per inchiodare chi sta al governo alle sue responsabilità.
Un’ultima nota a margine. Sulla naturalezza con cui il rettore della Sapienza si è speso pubblicamente nella difesa del figlio, fresco di nomina a professore ordinario nella stessa università e nella sua stessa facoltà di provenienza. Ricorrendo a un gergo inconsueto per la sua carica istituzionale, ne ha celebrato i meriti con argomentazioni a dir poco singolari. Chiunque può valutare il “ponderoso” curriculum dell’interessato, reperibile su Google. E’ curioso notare che nelle sue pubblicazioni non ci sia traccia di lavori di un qualche rilievo (misurabile dall’impact factor della rivista su cui è stato pubblicato) di cui il soggetto si firmi primo autore (colui a cui si deve gran parte del lavoro sperimentale) o ultimo autore (colui che ha impostato e diretto il progetto e che tiene la corrispondenza con la comunità scientifica). Eppure si ritrova, a soli 36 anni, al culmine della carriera universitaria. Sorvolando sulle sue indubbie qualità, potremmo dire con un sorriso amaro che tutte le strade portano a Roma ma non alla sua università principale. Se vuoi, anche questa vicenda richiama il cattivo sortilegio che hai menzionato. Ma io mi ostino a sperare che un giorno non ci si debba più stupire che il merito abbia pagato più di una semplice appartenenza famigliare. In qualunque campo. I giovani ci stanno indicando la via da intraprendere.

Un caro saluto e auguri di buon anno
sergio