giovedì 28 maggio 2009

IL SALTO NEL VUOTO

RACCONTO SEMISERIO DEL SIGNOR GALMETTI


Deve di nuovo essere un giorno come gli altri per il signor Galmetti. Si è alzato dal letto con questa precisa speranza. Eppure le scale che lo portano al soggiorno, il silenzio che avvolge la casa ancora nella penombra dell'esposizione a nord, la finestra che dà sul balcone leggermente socchiusa per evitare il rischio dell'infido gas, nessuna di queste certezze gli dà conforto. Galmetti si sistema la giacca da camera ("guai a girare in pigiama", gli tornano in mente i moniti del padre). Annusa l'aria frizzantina mentre gira su se stessa la Bialetti, l'accendigas è sempre al suo posto, la presina che tra un po' gli servirà anche. Poggia la schiena ai fornelli, non siede mai a tavola di mattina presto, il primo caffè va sorseggiato in piedi, possibilmente vicino alla finestra. Tutto deve essere come prima, tutto. Questa del caffè, ad esempio: un'abitudine consolidata in tanti anni di lavoro a orario e cartellino: i tempi contati, misurati, limati fino all'osso. Certi vezzi, si sa, tornano utili nei momenti bui, sono l'unica ancora al reale. Pensa Galmetti, pensa sempre. Ma c'è un silenzio strano, quasi irreale. La pensione tanto agognata è arrivata come un ciclone, ci vuole il tempo di recupero, bisogna abituarsi anche alle novità. va verso la porta, come ogni mattina: i quotidiani sono fuori sullo stuoino. Tutti e due, bene. Guarda l'orologio, annuisce: sono stati puntuali. Ma come sono esili qusti giornali, pensa. Li solleva con una mano, li soppesa. Il premier è morto da due giorni. Lui non ha voluto sapere niente, appena appresa la notizia - erano le 4 di pomeriggio - ha spento la radio, ha staccato la spina alla televisione per evitare anche la tentazione di sentire una sola parola sull'accaduto e ha annullato anche l'appuntamento con il medico, perché nelle sale d'aspetto, si sa, non si fa altro che cianciare inutilmente. Dopodiché s'è messo il pigiama, s'è fatto la barba e s'è messo a letto, serrande abbassate, luci spente e bottiglia d'acqua sul comodino. L'unico vezzo che s'è concesso, la lucetta portatile da applicare sul libro: una cineseria, una chincaglieria da viaggio che lui però usa e strausa perché - dice - si concentra di più sulla lettura, senza distrazioni e senza luminarie esagerate. Ciò fatto, s'era messo sotto alle coperte e arrivederci a tutti. Quel che succedeva fuori non era affar suo. Con l'occhio aveva guardato sospettoso la pila di giornali ammassati ai piedi del suo letto, montagnole e montagnole, una sull'altra. Carta di vari colori, di vari giornali. Un archivio messo in piedi in meno di un mese: pagine sul premier raccolte e sovrapposte senza una logica. L'odore acre e pungente dell'inchiostro aveva invaso la stanza, un puzzo di umido e di marcio che sarebbe entrato di diritto tra le pieghe dei vestiti, nei tessuti delle tende, dentro le lenzuola. Galmetti all'idea aveva avuto un brivido, io e il premier a letto insieme, aveva pensato. Il suo sguardo era caduto su uno dei tanti giornali, la foto del leader con un sorriso smaglinate ammiccava ai suoi pensieri orrorifici. Si era affrettato ad aprire il libro alla pagina segnata e a concentrarsi subito, come ben gli riusciva, su una lettura di salvezza. Poi il sonno e poi di nuovo la lettura. Così per più di due giorni, con le uniche pausa per andare in bagno e mangiucchiare qualcosa. Poi, era venuto il momento di tornare alla vita. Ma uno strano senso di vuoto lo aveva colto di sorpresa: le mura, i divani, i quadri, tutto gli sembrava strano e illogico. Il telefono non era suonato, il citofono neppure, non aveva sentito neanche il rumore dell'ascensore. Niente. Neppure gli uccelli cinguettavano e che era, la fine del mondo? Galmetti sorseggia il suo caffè, lo sguardo perso fuori dalla finestra. Poi lentamente va verso il tavolo, i giornali sono lì, uno sull'altro. Si siede, e vorrebbe leggerli ma un freddo atavico comincia a scorrergli lungo le ossa: le pagine sembrano scritte ma non lo sono. Riportano un elenco ripetuto di caratteri grafici ma neppure una frase di senso compiuto. Si stropiccia gli occhi: sui giornali non c'è scritto niente. I giornali non riportano neppure una notizia. Non chiede tanto, un trafiletto, una sintesi, due righe, una parola. Niente. I giornali non dicono più niente. Si guarda intorno. Ma che cos'è, uno scherzo? Tipo il Truman show, dov'è piazzata la candid camera? Si gira verso la tv, appesa a un braccio metallico come un'edicola votiva profanata. Impugna il telecomando, la sua pistola da sceriffo della cultura. Zac, tutto nero. Zac, ancora nero. Arizac, nero che più nero non si può. Lutto evidente. Silenzio evidente. Non c'è niente di più lungo e di più triste in tv che il nero, è il nemico giurato di tutti i televisivi al mondo. E qui adesso c'è solo il nero. Galmetti è in surplus catatonico. Gli basterebbe anche solo sapere quanti anni ha la velina più gettonata d'Italia, a che età si era findanzata per la prima volta. Troppo? Allora a che età ha fatto sesso l'ultimo classificato al reality dell'anno. Per favore, una stupidaggine. Fosse anche l'ultima della terra. Sente di non farcela, se no. E' crisi brutta, questa, affanculo quell'omeopata che gli ha detto che la dipendenza si cura con l'astinenza. Ma chi l'ha detto, che dopo decenni si può fare a meno di tutto così, da un giorno all'altro. Altro che omeopata, ricette a vita dovrebbe prescrivere. Galmetti è distrutto. Si guarda le mani: chi è lui, adesso. Che cosa farà senza la sua evasione quotidiana, che cosa sarà la sua vita da oggi in poi. Delle cavolate si ha bisogno come il pane, anzi più del pane. La testa gli scoppia, non ce la fa più. ma ci vuole contegno, sempre. E allora va in bagno, si pettina, si fa il nodo alla cravatta, apre la finestra della cucina, sale sullo sgabello e visto che non ci sono neanche più gli uccelli di una volta, senza starci troppo a pensare prende e si getta in avanti. Tanto, vuoto per vuoto....

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