domenica 14 giugno 2009

RIGA NERA

Ginevra ha tre anni, Paolo quasi uno. Io trentasei e mi chiamo Valeria. Lavoro in un centro sportivo, alla reception. Devo convincere chi viene a chiedere informazioni che i prezzi qui sono imbattibili. Sorrido, prendo il foglio, lo giro dalla parte di chi si affaccia al bancone e recito a memoria prezzi e offerte. Il mio lavoro è questo. ‘Per il nuoto c’è solo l’obbligo del costume sociale’. Li vedo che arricciano il naso: ‘veramente il costume ce l’ho già, l’ho comprato da pochi giorni proprio in previsione del corso di nuoto’. Annuisco, come a dire “lo so”. Poi alzo le spalle, mostro i palmi delle mani: “mi dispiace, non posso farci niente: è il regolamento”.

Dire “è il regolamento” mi dà piacere. È come tracciare una riga nera su un foglio bianco. È come mettere fine al discorso.
E’ il lusso di imporre una violenza piccola senza mai essere il cattivo: “è il regolamento”. Che colpa ne ho io?

Anche stamattina Giorgio ha preparato la colazione. E anche stamattina porterà Ginevra a scuola e Paolo all’asilo. “Hai avuto culo, Valeria. Con gli uomini è solo questione di culo”.
Le amiche la vedono a modo loro.
Non sanno che ogni gesto che lui fa mi manda in bestia. Ad esempio non mi piace che metta le tazze dentro alla lavastoviglie senza prima averle passate sotto l’acqua. E’ una cosa che mi fa decisamente incazzare. E proprio stamattina l’ha rifatto. Un rancore sordo mi è partito dagli alluci, è risalito lungo il mio corpo, si è attorcigliato nello stomaco e mi è scoppiato in testa.
Mi sono alzata, gli sono andata vicino, gli ho poggiato la guancia destra sulla schiena, l’ho abbracciato.

La mattina usciamo insieme di casa: la prima a salutare tutti e a saltar giù dalla macchina sono io. Quando arriviamo davanti al centro sportivo, mentre Giorgio si accosta in doppia fila per farmi scendere, io mi giro e mi sporgo verso il sedile posteriore per salutare i bambini. Ginevra ha il broncio, la mattina. Ha sonno. Paolo invece ha gli occhi che sembrano due fanali e sorride sempre, anche se ha solo due denti. Poi mi rimetto seduta al mio posto e mi spingo verso Giorgio: lo bacio a lungo e con la mano destra gli accarezzo la guancia.”Buona giornata, amore mio”. “Anche a te. Che ora pensi di fare?” “Non lo so, poi ci sentiamo”.

Giorgio non è cattivo. Solo, è così.
“Che significa così ?”, Rossella non capisce mai al volo
Così significa così. Così come lo vedi: senza colpe, senza storia. Così. Normale.
Lui è soddisfatto, è contento. Si sente in pace quando torna a casa e si diverte a cucinare. È un marito perfetto, ma è un uomo da cancellare.

Il giorno in cui ho tirato la riga nera su Giorgio è stato quando sono tornata a casa e ho trovato la sua merda sul fondo del cesso: aveva dimenticato di scaricare il water e se n’era andato.
Una dimenticanza.
Una distrazione.
Io ho tirato una riga nera.
Non ho potuto farci niente, ho tirato una riga nera.
Nei torti inconsapevoli c’è sempre un’ombra di atrocità.
Sono i più cattivi, i più innocenti.
Nessun calcolo, nessun dolo: non si ha colpa per la noncuranza eppure si merita il massimo della pena.

Oggi al centro sportivo ci sarà un piccolo rinfresco: offre una collega che si sposa. Noi altre le abbiamo regalato una stupidaggine, giusto per buon augurio.
A Giorgio non gliel’ho detto: non mi va di fargli sapere che durante l’orario d’ufficio ci sono questi intermezzi. Questo è il mio piccolo mondo segreto e guai a chi me lo tocca.

Ho deciso di mettermi a lavorare una settimana dopo la nascita di Paolo.
Ero brutta. E comunque, se anche non lo ero, mi ci sentivo.
Nei mesi successivi la bellezza e la cura del corpo sono diventati la mia fissazione. Anche la scelta del lavoro ne è stata condizionata: guardavo solo annunci di impieghi collegati al mondo dell’estetica. In quel periodo mi sorprendevo a fissare il ventre piatto delle donne, i loro glutei alzati, i loro seni più discreti di quella mia quinta invadente. Le rassicurazioni degli altri mi scivolavano addosso: “spariranno, le tue tette spariranno”. I femminili divennero le mie letture spensierate, io la loro esperta conoscitrice. Di ognuno trovavo a occhi chiusi la rubrica sulle diete e sul mangiar mediterraneo, il trafiletto su come sapersi truccare, depilare, ritoccare le sopracciglia. Divoravo quegli spazi pubblicitari per rossetti e lucidalabbra: io non avevo labbra delineate. Le mie erano due fessure insipide. Quelle che vedevo scolpite lì erano succose, piene d’appetito.

In quel periodo ho preso il vizio di camminare con la testa verso il basso. Spero di perderlo, prima o poi.

Giorgio lavorava molto: usciva di casa presto per non trovar traffico, diceva, e tornava per l’ora di cena. Era comodo avere dei figli a questi prezzi, pensavo: qual era stato il suo sforzo. Dov’era la sua fatica. Io ero diventata una balena, ero sempre stanca e sciatta. Lui invece era più contento che mai. Guardavo la televisione e mi comparivano davanti donne che dopo tre settimane dal parto erano in grado di ballare sui tacchi a spillo. Solo io ero incapace di far scomparire quell’ammasso di carne pendula che mi ingombrava la vita e l’anima.


Quella merda abbandonata sul fondo del water mi ha dato il colpo di grazia. Sono rimasta a guardarla immobile, fissa come un palo della luce. La osservavo con cattiveria. Di quello sguardo impietoso non sarei stata capace neppure con l’ultimo idiota della terra.
Di tanto in tanto alzavo gli occhi per specchiarmi, ma non muovevo il volto. Volevo vedere che espressione assumo quando sono furiosa. Muovevo gli occhi dal water allo specchio e dallo specchio al water.
Le prime occhiate che ho colto mi hanno dato soddisfazione: erano crudeli. Così mi piacevo: ero arrabbiata. Finalmente.
Per un po’ ho continuato andavo con gli occhi dal water allo specchio e dallo specchio al water. Avanti e dietro, avanti e dietro. Ancora e ancora.
Poi c’è stato un rumore fuori dalla finestra. E quando ho deciso di ricominciare mi è sembrata una forzatura.
“Adesso te la lascio qui”, ho pensato.
Quello è stato il primo giorno in cui ho saputo di odiare Giorgio.

Adesso che ci penso non poteva esserci posto migliore del bancone di una reception per nascondermi.


Quella sera Giorgio è rientrato alle sette e mezza.
Per tutto il pomeriggio mi sono coccolata con l’idea che la ferita migliore da infliggere è fatta della stessa pasta di quella che ci dà dolore. Cucinavo e intanto creavo nella mia testa le ipotesi più diverse: Giorgio che entra dentro casa e che deve andare in bagno, di corsa, perché ha trovato tanto traffico. Quindi si precipita e si trova davanti lo stesso spettacolo che ha lasciato: vorrebbe arrabbiarsi ma non può perché si ricorda di essere il colpevole. Quindi fa quello che deve fare e poi scarica e magari pensa che io non mi sono accorta di niente.
Oppure Giorgio che la butta sullo scherzo: sa di essere stato maleducato, ha capito che io non ho gradito e mi gira alla larga per un po’. Magari si scusa anche.

Me la ricordo la cena di quella sera: non ho detto niente. Per la prima volta da quando conoscevo Giorgio non gli ho rivolto la parola. “Qualche problema al lavoro?” “No, amore: sono solo stanca”. Mi sono alzata, ho fatto il giro intorno alla sua sedia, mi sono poggiata con il torace sulla sua schiena e l’ho abbracciato. Gli ho dato un bacio sulla guancia, ho annusato la sua pelle.
Lui s’è preso le fusa e mi ha accarezzato il viso con il dorso della mano.
La mia anima era grigia. E pesante come il piombo.
Ma solo io so scrutarla.
Il mio malessere era un’unica razione: non potevo condividerlo con nessuno. Solo io sono capace di sentirne l’odore nauseabondo.
Ho abbracciato con calore Giorgio e intanto pensavo: “Maledetto bastardo, se fosse stata la prima notte che venivi a casa mia per scoparmi te la saresti dimenticata la merda nel cesso?”

Avevo tirato lo sciacquone alle sette meno dieci.
Mi sono guardata allo specchio, prima.
Di autogiustificazioni si può vivere e morire.
Io camperò a lungo.
Eppure le righe nere una volta tracciate sono indelebili. Ho spinto il palmo della mano contro il muro e l’acqua è scesa lungo il water.
Riga nera anche su di me.
Tutto sommato siamo una coppia d’assi.

3 commenti:

il Boidi ha detto...

Pericolose le righe nere... Un quadro domestico ben raccontato... è vero, sacrosanto vero; un pò di male si insidua ovunque, come la polvere. il Boidi

annalisabellizzi ha detto...

Ciao Chiara! Ti leggo sempre, anche se non commento, ti seguo con grande interesse. Un bacione, a presto

Andrea Benigni ha detto...

bello. potrebbe venirci fuori un film per la Mezzogiorno.
Andrea Benigni