martedì 6 ottobre 2009

LE TRAGEDIE NASCOSTE NEL CASSETTO

A guardare le fotografie scattate dall'alto, le case di Scaletta Zanclea fanno pensare che si tratti di un fotomontaggio. Fanno sperare che si tratti di un fotomontaggio. Non è possibile, pensi, che si sia potuto edificare in bilico su un torrente o per storto su una parete scoscesa: e che doveva essere, una prova di equilibrismo? Neanche in un presepe, in uno di quelli che allestisci dentro casa pensi di arroccare casette finte su una montagna di cartapesta: potrebbe andarci contro il cane, ti suggerisce il senso pratico, potrebbe intruppare un bambino, fa eco il buon senso. E a quel punto il presepe verrebbe giù: crollerebbe il piccolo mondo inventato che pazientemente hai messo in piedi con tanta fatica. E tutto finirebbe in un disastro che non è stato poi così difficile prevedere ed evitare. E parliamo di piccoli mondi irreali. Parliamo di buon senso, che guarda caso è sempre sinonimo di buon gusto. Quello che continua a mancare a questo paese di colnodni e licenze edilizie vendute, di scudi fiscali e di sciagure evitabili e anzi, già note se - come si legge Repubblica del 6 ottobre 2009 - "la realistica previsione di quello che avrebbe potuto succedere era persino nei cassetti della Procura, agli atti dell'inchiesta aperta dopo l'alluvione del 2007 e rimasta senza colpevoli".


A Scaletta Zanclea, a Giampilieri è venuto giù il mondo. Quello vero, di visi e di voci, di vite che ancora dovevano crescere. Il fango che vediamo scorrere a fiotti è la metafora di quello che stiamo vivendo: coperti, soffocati, incapaci di reagire. Bloccati. Sepolti vivi da tutto quello che si poteva fare e non si è fatto, da quello che si poteva evitare e che invece si è accettato. Che cosa deve succedere ancora perché l'Italia si indigni e non pensi sempre di trarre giovamento dalle leggi più inique? La riposta mi importa molto, perché i fatti di Sicilia mi fanno tornare alla memoria il senso di frustrazione che ho provato quando sono entrata nel vivo di questo mio lavoro che uscirà in libreria il 20 ottobre, Anni di cemento, una fotografia dell'abusivismo edilizio consumato a Roma e nel resto del Lazio negli ultimi dieci anni. Solo quando ero ormai avanti nella raccolta di documenti e a buon punto con la stesura del testo ho realizzato quanto sia pronunciato il concorso di colpa che hanno i cittadini nel contribuire a rovinare l'ambiente che hanno intorno e (nei casi più estremi) a condannarsi a morte. In questo senso penso di poter dire, alla luce di quello che almeno per il territorio romano è emerso dal mio lavoro, che non ci si può accontentare oggi di siglare gli scempi come conseguenze di concessioni edilizie comprate o regalate, di "abusivismo politico". Anche io ho affrontato ampiamente il vulnus dell'abusivismo istituzionale: c'è, esiste, va combattuto e biasimato. Soprattutto non va foraggiato. Ma vorrei anche sottolineare che la politica avrebbe un raggio d'azione molto corto se non fossero invece enormi le pretese dei cittadini che per incrementare i loro interessi non esitano a deturpare il patrimonio di tutti. L'ultimo su Roma, in ordine di tempo, è il massiccio intervento di demolizione sul territorio dell'Appia Antica. Chi ha rovinato il paesaggio aveva realizzato un supermercato di 600 metri quadrati, 1700 metri cubi totalmente fuorilegge accanto all'acquedotto antico e vicino alla villa dei Quintili. Una porzione di territorio completamente danneggiata, come dimostrano le aerofotogrammetrie dell'ente parco. Un ulteriore tassello nella lotta al mattone selvaggio, firmato ancora una volta dal capo dell'abusivismo rgionale Massimo Miglio. E non solo perché applicando la legge i 25mila euro dell'operazione saranno addebitati alla proprietà (che pagherà anche 20mila euro di multa) ma anche perché la Regione ha acquisito il sedime dell'area: 2300 mquadrati che diventeranno lotto pubblico. Con l'operazione di oggi da un lato viene confermata la decisione del Tar e dall'altro vengono definitivamente messe a tacere le istanze di condono edilizio accertate come false. Ma resta comunque in vita un interrogativo: fino a quando bisognerà correre ai ripari, anticipando da parte della collettività le spese per riparare i torti subiti? Fino a quando si dovranno correre rischi e devastazione come quella avvenuta in Sicilia?

2 commenti:

Mario ha detto...

Il tema dell'abusivismo edilizio molti lo leggono come qualcosa di distante, se non addirittura avulso, dal rispetto per l'ambiente. Come se ritagliare spazi aperti e destinarli a verde pubblico o a parco bastasse a "distrarre" l'attenzione dalla speculazione edilizia che si fa da un secolo ormai su tutto il territorio nazionale. Nessuno pensa - come hai sottolineato te all'inizio - che la deturpazione umana confligge con la natura e che questa presto o tardi si riprende i suoi drammatici spazi nelle cronache. E' ciò avviene non sono in Sicilia ma a Roma, a Latina e in provincia. Pensa a ciò che - distrattamente - si lascia a se stesso: l'unico tratto di duna quaternaria che lambisce i laghi costieri del parco nazionale del Circeo, da Fogliano fino al promontorio della Circe. Bene, quel tratto rientra non solo sotto la tutela del Parco, ma anche nella Convenzione internazionale di Ramsar per la tutela delle zone umide. Eppure, l'uomo, insensibile, indegno, prova a corrodere lo spazio, costruendo dove non dovrebbe e abbandonando la tutela della duna, barriera naturale per la preservazione dell'eco-sistema. E i politici tacciono, anzi, di più, davanti ai finanziamenti europei si tirano indietro, e zitti, lasciano morire la speranza di lasciare un futuro ambientale migliore.

Chiara Lico ha detto...

Concordo con te, Mario. Quel che stentiamo a comprendere è che corrodendo l'ambiente corrodiamo noi stessi, ci smangiucchiamo giorno dopo giorno compulsivamente. Mi auguro di incontrarti alla presentazione di Anni di Cemento, il 6 dicembre a Roma alla Fiera della Piccola e Media editoria.