lunedì 25 agosto 2014

UNA PENTOLA DI FELICITA'

Mattina di una giornata qualsiasi, qualche giorno fa. Nella testa ancora l’enfasi di ore piacevoli trascorse in chiacchiera pura con un amico: Karoo di Steve Tesich, la sua anima doppia; la musica su dodici note e come venne rifiutata all’inizio; il nostro comune amore per Mozart e la sua tensione continua. Sicché il buon umore c’è. Infilarsi nella prima libreria che si trova è un dovere. Per il proprio benessere, perlomeno. Ma soprattutto per non dico cancellare, ma alleggerire sì, il ricordo dell'incubo del giorno precedente, quando dentro a una libreria (un'altra), ero rovinosamente finita contro un megapentolone gigante che troneggiava nel reparto libri per cucina, ricette e affini. Intorno alla mega casseruola, a protezione, balde posate in silicone antiaderente erano cromaticamente abbinate a stampini per muffins, anche loro antiaderenti.
Detto fatto. Mi getto a capofitto nella Spa dell'anima. Incrocio le dita. E in effetti.

Intorno a me dorsi accatastati, ultime novità, chi entra, chi esce, chi fruga, chi legge al volo. Anche io mi getto nella mischia: curiosare, curiosare, curiosare.
E tutto va bene, fino a quando.

Fino a quando, al piano di sotto, mi fermo davanti a uno scaffale. Scannerizzo i titoli e sto per allontanarmi, quando mi accorgo che non è possibile. Avverto qualcosa di anomalo. Mi pianto davanti allo scaffale e guardo, riguardo, osservo.
La felicità in tasca, Lo psichiatra nel cassetto, L'arte di andare avanti, Riparto da me, Amore senza bugie, La vita che vuoi, La felicità è dentro di te, Impara a essere felice... Homo (in)felix è il tuo momento, sghignazzo: Il tuo vademecum è pronto. Ne hai uno al giorno. Sapientemente esposte una accanto all'altra, le sentinelle dei nostri giorni migliori sono lì a farci da breviario. Mi guardo intorno. Ci siamo solo io e un signore che (credo) non vede l'ora che io mi sposti.
Mi sposto.
C'è qualcosa che mi frulla nella testa, devo mettere a fuoco.
La chiacchierata di qualche ora prima, già. Mica solo libri e film, ora che ci penso.
Anche un bel po' di minuti, io e il mio amico, a fissare insieme il grafico pubblicato dal Corriere della Sera sulla percezione ridotta che gli italiani hanno del loro benessere. In sintesi: invitato a parlare di soldi e di reddito, un americano dà l'impressione di una persona benestante. Un europeo, viceversa, dà l'idea di essere precipitato in disgrazia. False entrambe le percezioni perché in realtà gli europei stanno meglio di quanto credono e gli americani non così bene come pensano. Quest'ultimo concetto è chiaramente espresso in uno studio dell'istituto tedesco IW. L'autrice dello studio si chiama Judith Niehues e sottolinea come il tema sia fondamentale in un periodo in cui la redistribuzione delle ricchezze "attraverso la leva fiscale è presente nel dibattito politico dei Paesi occidentali" e conclude che è "la ricchezza (o la povertà) percepita, non quella reale, a influire sulle scelte politiche dei cittadini".Mi riavvicino allo scaffale, i libri per garantirci felicità sono lì in bella mostra. Certo, penso, stiamo messi proprio male se ci vediamo costretti a curarci il morale con coccole rilegate. In effetti il periodo storico non è dei migliori, questo non si può negare. Certo, però, il baratro deve essere davvero profondo se gli editori investono così tanto su testi di auto- (ri)sollevamento morale in un paese che non legge.
Mi sforzo di ricordarmi lo studio di Iw: dunque le posizioni dei cittadini in materia di ineguaglianza economica non sarebbero fondate su dati reali ma sulla percezione di essa. E gli italiani in tutto questo? Il 73% di loro è pessimista, alle porte vede la catastrofe. Immaginano una piramide con in cima i ricchi, pochi; al centro una classe media non troppo estesa e una base molto larga di persone povere. Gli americani, invece, sono positivi. Cioè guardano al futuro con ottimismo, ovvero tengono desto il sogno americano. Significa che credono nei principi che li hanno sempre sostenuti. Ergo, credono in loro stessi. Si chiama autostima, penso. E quella degli italiani ha fatto la cura dimagrante. Cerco di capire se tra i vari testi a disposizione c'è anche un breviario per recuperarla, ma niente da fare. All'improvviso, non so perché, mi sorge un pensiero cattivo. Sbircio di sottecchi la sfilata dei manuali per essere felici. Sembra il parto di un ordine di scuderia, penso. Tengo testa alla loro carica emotiva, mi sento le guance infuocate: almeno un tempo i consigli erano quelli per gli acquisti... Ma quelli erano bei tempi, allora si era felici. Adesso no, siamo allo stadio precedente: non più quello della soddisfazione (l'acquisto) ma quello del bisogno (la felicità). Abbiamo urgenza di suggerimenti per vivere. Anzi, per sopravvivere. 
Sorrido tra me, capisco. Sospiro.
Povero quel popolo che ci crede e crea, edifica, legifera, produce. Illuso. E' giusto invece ricordarci ogni giorno che stiamo male e che può andare peggio per veder garantita una certa tranquillità. In effetti con ottanta euro siamo tutti più contenti, si vede. Le briciole dei dolci anticipano il paradiso che verrà nell'affondare il morso. E soprattutto ci ricordano che si tratta di una pausa felice in un momento di dolore condiviso.
Giusto.
Adesso che ho capito, decido di andarmene, ma in quel momento preciso il mio sguardo viene attirato da un saggio. Se ne stava lì, zitto e immobile tra i manuali per la felicità. Mezzo nascosto, come ho fatto a intercettarlo?
Decido di ignorarlo. Ormai sono sollevata, non voglio fare confusione.
Anche perché già ho cominciato a chiedermi quanto davvero frutta questa forma di annichilimento dell'ego altrui, quanto convenga abbassare l'asticella, quanto produca  - in termini di profitto - deprezzare il valore altrui. Così non va bene, mi rimprovero, Sempre la solita complottista.
Mentre mi avvio all'uscita, sento una strana insofferenza che dalle gambe mi risale allo stomaco: mi rivedo nell'altra libreria, la pentola gigante davanti agli occhi. Nella sua pacchianeria infinita mi appare meravigliosa, cicciona, esuberante, invadente. Sincera. Neanche lontanamente induce al retropensiero dei libri come cibo per l'anima. Non ci pensa proprio: la pentola sta lì per essere venduta, se possibile anche senza sconto e meglio ancora insieme a pennelli e posate fosforescenti. Soprattutto, dice la verità: il bussiness è bussiness. In libreria, come da altre parti. Chi decide di vendere felicità o chi decide di farla diventare merce rara non è meno venditore di pentole di un venditore di pentole. Anche se il mercato è in libreria, tra vicini di scaffale illustri.
Sono quasi fuori, anzi sono per strada ma all'ultimo momento utile qualcosa nella mia testa fa clic e io, dietrofront: mi precipito al piano inferiore della libreria. Sullo scaffale - eden, c'è il testo che mi aveva chiamato. Lo prendo, lo compro e me lo porto via.
Breve storia della menzogna, si intitola.
E' filosofia e non credo che tra i suoi obiettivi ci sia principalmente quello di far star bene. Eppure mentre aspetto l'autobus mi sento felice. E lo sono. E se non fosse che da dove mi trovo 
 la distanza è troppa e che con i mezzi non saprei dove metterlo, farei anche un salto a comprare il pentolone. 



























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